16 marzo — 18 giugno 2023
Mart Rovereto
Attraverso 120 fotografie la mostra ripercorre la storia dello studio fotografico più popolare della Vienna degli anni Venti: l’Atelier Manassé. Calembour visivi, ritratti di attrici e modelle, danzatrici e foto di nudo danno vita a un percorso tematico che evoca uno dei periodi più vivaci dell’Europa del secolo scorso. Al Mart, fino al 18 giugno.
L’Atelier fotografico Manassé viene fondato a Vienna nel settembre del 1920 da Adorjan Wlassics, a cui ben presto si unirà la moglie Olga Spolarits. La coppia si era trasferita dall’Ungheria alla fine della Prima guerra mondiale, in anni di grande fermento socio-politico e culturale che segnarono sia le loro vite sia il loro modo di fotografare. Nella capitale austriaca fiorivano la moda, la fotografia, il cinema e le riviste specializzate, mentre la notte era animata dai vivaci cabaret. Questa Babele di energie creative alimentava nuove libertà e consapevolezze femminili.
I coniugi Wlassics seppero combinare eleganza e umorismo, in linea con questo nuovo gusto glamour e trasgressivo. Le loro fotografie erano pubblicate dai magazine di tutta Europa e affascinavano per la modernità e la stravaganza dei raffinati fotomontaggi, al limite del kitsch, evocativi di una femminilità misteriosa e fatale. Immagini all’avanguardia, vicine alle sperimentazioni surrealiste, che li resero unici nel panorama fotografico di quegli anni. La fama dell’Atelier Manassé arrivò fino a Hollywood, dove alcune modelle che avevano posato per loro furono scritturate nel cinema. Protagonisti e testimoni eccellenti di quegli “anni ruggenti”, in un caleidoscopio di contaminazioni che seppero assorbire e interpretare, Adorjan e Olga Wlassics divennero richiestissimi anche dall’alta società viennese.
- Atelier Manassé La baronessa Luli Hohenberg. Attrice al Burgtheater, 1928 c. IMAGNO / Collection Christian Brandstätter, Wien
- Atelier Manassé L’attrice Maly Podzuck, 1927 c. IMAGNO / Collection Christian Brandstätter, Wien
L’avvento della fotografia aveva sostituito la pittura in uno dei suoi più importanti generi artistici: il ritratto. Quelli dell’Atelier Manassé divennero talmente richiesti da creare, talvolta, problemi di ordine pubblico, a causa delle liti tra i clienti in fila ad aspettare il proprio turno.
Dai ritratti delle più famose dive del cinema e della danza i coniugi Wlassics ricavarono cartoline autografate da vendere ai fan: una novità molto di moda nella Vienna di inizio secolo. Il loro Atelier divenne, così, un brand il cui successo commerciale era strettamente legato alla popolarità di cui godeva nella società elegante e sofisticata della nobiltà viennese e dell’ambiente dello spettacolo. I ritratti del jet-set, infatti, garantivano anche la commissione pagata dalle riviste illustrate per la loro pubblicazione. Fu Olga, con il suo passato di attrice e le sue nobili origini, a fornire al marito la chiave d’accesso a questo mondo scintillante.
L’immaginario messo in scena dalle elaborate composizioni dell’Atelier Manassé riflette cliché maschilisti oggi impensabili: donne chiuse all’interno di portasigarette o prese con una pinza come fossero zollette di zucchero da tuffare in una tazzina di caffè. Gli uomini sono spesso dei giganti e le donne, quasi sempre svestite, hanno pose lascive e ammiccanti.
Non mancano i soggetti d’ispirazione esotica, eredità di quell’orientalismo che ebbe larga diffusione in Europa a partire dalla fine del Settecento, legato all’atteggiamento di superiorità imperialista. Questo gusto estetico interessò diverse arti, accomunate dalla scelta di rappresentare un Oriente più sognato e idealizzato che reale. I paesi esotici del Medio Oriente suscitavano nell’immaginario occidentale sentimenti contrastanti: paura ma anche attrazione per i raffinatissimi prodotti di lusso che seducevano i ricchi europei, alimentando la fantasia di un mondo pieno di piaceri e segrete seduzioni.
- Atelier Manassé, Vienna Le ballerine Lolo e Inge Epp, 1931 c. IMAGNO / Collection Christian Brandstätter, Wien
- Olga Wlassics Foto Atelier Collezionista di farfalle (fotomontaggio), Vienna, 1949 c. OstLicht Collection, Vienna
Fino al XIX secolo il nudo era stato tra i soggetti principali della cultura visiva occidentale, reso accettabile da contesti storici, mitologici e allegorici che ne mitigavano l’erotismo. Alla fine dell’Ottocento, grazie al dipinto di Gustave Courbet L’origine del mondo, si assiste a un nuovo, scandaloso, approccio al tema del corpo nudo. Il distacco dalla pittura allegorica e accademica è definitivo e trentatré anni dopo, grazie a Klimt e alla Secessione viennese, trionfa la “nuda verità”. Su questa eredità si fonda la consapevolezza delle donne fotografate dall’Atelier Manassé, coscienti di esistere in carne e ossa e di rappresentare solo sé stesse o, tutt’al più, un ruolo assegnatosi tra ironia e messa in scena, non più solo muse ispiratrici di quel mondo che ora provocavano e sovvertivano.
Queste foto di nudo non sono mai spudorate ma, piuttosto, esemplificative del concetto di sex appeal, nato proprio in quel periodo e inteso come la capacità di esercitare una forte attrattiva con le proprie doti fisiche, lo sguardo, la voce e il portamento. Quel famoso “non so che” magnetico, che si distingue decisamente dall’erotismo. Olga e Adorjan furono complici nel giocare con le loro modelle, anche laddove il ruolo assegnato le rendeva oggetto di gesti e giochi sciovinisti, ma sempre all’interno di una consapevole finzione. Forse persino denigratoria di quello stesso mondo che ne avrebbe consumato le immagini pubblicate su riviste come “Seduction” o “Muskete”.
Negli anni che seguirono la Grande guerra l’eccesso divenne normale e necessario, come dimostra l’uso ricreativo delle droghe, legali e pubblicizzate dalle stesse case farmaceutiche come tonico e anti depressivo. Quella in cui vissero Olga e Adorjan era una cultura libertina e libertaria. Le donne iniziarono a emanciparsi a partire da piccoli gesti, per l’epoca rivoluzionari, come un taglio di capelli alla maschietto oppure fumare, guidare o indossare abiti maschili, in nome di una reclamata parità sessuale, come si vedeva al cinema e sulle riviste. Iniziò allora una promiscuità e ambiguità di genere anche nel vestire, che impose un nuovo concetto di bellezza sulla scia del movimento americano delle cosiddette flappers: giovani ragazze disinibite, provocanti nell’uso del trucco e del loro corpo, sessualmente libere e con una potente joie de vivre.
- Atelier Manassé La danza, 1931 c. IMAGNO / Collection Christian Brandstätter, Wien
- Atelier Manassé Studio, 1930 c. IMAGNO / Collection Christian Brandstätter, Wien
La moda, alimentata dalla nuova società dei consumi, raggiunse l’apice negli anni Trenta. La pubblicità si fece sempre più martellante e l’immagine, ancor più dello slogan, ne divenne il veicolo fondamentale. Nacquero riviste specializzate come “Vogue”, “Excelsior”, “L’Officiel” e nuove icone dello stile femminile, come Coco Chanel che rivoluzionò l’idea di eleganza femminile.
Con il crollo della borsa del 1929, lo sfrenato ottimismo che aveva caratterizzato gli anni Venti finì bruscamente e anche i costumi mutarono, facendo tornare di moda un tipo di donna più femminile e meno trasgressiva. All’inizio degli anni Trenta, la Grande depressione e i regimi totalitari in Europa crearono un forte desiderio di evasione che trovò nel cinema, da pochi anni passato al sonoro, una valvola di sfogo. Furono proprio le dive cinematografiche a influenzare profondamente il gusto delle donne in quegli anni. A loro – e al tentativo di emularne lo stile – si dovette la passione per gli abiti da sera e il boom della bigiotteria che conobbe uno strepitoso successo grazie a figure come Chanel, Paul Poiret, Elsa Schiaparelli, o alle creazioni in bachelite di Auguste Bonaz o Henkel & Grosse, che portarono la qualità del monile a livelli altissimi ed emanciparono il gioiello di fantasia, sull’onda della crisi economica e del successo di Hollywood.
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