Si parla di cultura cubana nel mondo, di artisti della diaspora e di chi ha continuato a lavorare sull’isola, anche se ormai il nomadismo è una condizione della maggior parte degli autori che si affacciano sulla scena contemporanea, da ovunque essi provengano. Il primo grande esodo c’è stato col crollo del blocco sovietico: mentre le maglie del controllo e della censura sulla produzione intellettuale si aprono leggermente nei ’90, lasciando alcuni spazi di libertà di espressione, fino al nuovo secolo Cuba registra i picchi di massimo isolamento, spingendo, ancor di più, le persone a fuggire. Oggi, tra cambiamenti e passi indietro, molti dei protagonisti di quegli anni sono rientrati nella loro terra, dopo lunghi periodi trascorsi all’estero e mantenendo un piede (spesso uno studio) in centri americani o europei. Carlos Quintana, che nasce a L’Avana nel 1966, si trasferisce a Madrid a ventisei anni. Autodidatta, pittore visionario che ha saputo mixare elementi e suggestioni di entrambi i continenti caricando le proprie tele di una forte tensione emotiva, dal 2003 è di base a Cuba. Le mostre in giro per il mondo, invece, si moltiplicano; le sue opere hanno fatto presa sul collezionismo internazionale, e nel solo 2019 le esposizioni che lo hanno visto e lo vedranno impegnato si dividono tra Venezia (Palazzo Loredan, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti; 11 maggio – 29 luglio), Roma (Palazzo della Cancelleria; 26 maggio – 16 giugno), Pechino (8th Beijing International Art Biennale; 26 agosto – 23 settembre), Miami (Pan American Art Projects; 7 settembre – 19 ottobre) e Chicago (Expo Chicago; 19 – 22 settembre). Si aggiungano le fiere, Art on Paper (New York; 7 – 10 marzo) e Art Miami (6 – 10 dicembre), e la tredicesima Havana Biennale (12 aprile – 12 maggio).
El mundo della verdad, a cura di Eriberto Bettini, è la prima personale romana di Quintana. Aperta a poche settimane dalla imponente rassegna veneziana, è una preziosa ricognizione sugli ultimi due anni di attività dell’autore. In poco più di tre sale sfilano venti quadri e una piccola scultura cromata incorniciata da una nicchia, toccandone i soggetti principali della ricerca. Volti, sguardi, mani; grovigli di corpi; teste disincarnate e mani; neonati e animali danno vita a scene sospese e vagamente minacciose infarcite di simboli, rimandi. I suoi personaggi senza origine o terra (o dalle molteplici origini e provenienze), la compostezza e la modulata spiritualità – per dirla con le parole del critico Luciano Caprile, che ha scritto per l’occasione il testo introduttivo – che da essi emanano, l’ambiguità di ogni singola rappresentazione creano una atmosfera straniante e immersiva, come addentrarsi in un sogno (o un incubo), e nella psiche altrui. In una intervista a Havana Cultura, l’artista spiega la genesi di alcuni dipinti: il primo raffigura il suo rientro da una festa; il secondo deriva da un episodio spiacevole con una donna, una ladra; il terzo nasce da un incontro con dei bambini con problemi psichiatrici. Cos’è, dunque, la verità cui egli si richiama anche nel titolo? Quintana trasfigura l’esperienza personale, la banalità del gesto quotidiano, per farne un racconto collettivo che esplora e manifesta disagi e smarrimenti della contemporaneità, la complessità esistenziale¹. E lo fa non solo richiamando in superficie visioni inconsce individuali, ma ricorrendo a tutto un repertorio culturale e figurativo assimilato nel suo continuo girovagare che va dai riferimenti alle filosofie orientali a certe memorie legate a un surrealismo di natura tribale insito nella sua terra², cui si aggiungono i numerosi spunti dalla tradizione europea (Chagall, Bacon, Espressionismo, fino alle pale rinascimentali).
La mostra al Palazzo della Cancelleria non è frutto di un progetto chiuso in se stesso: già si è detto che le opere toccano più nuclei tematici. Vi sono animali, singole figure, scene corali, “deposizioni”, le onnipresenti donne rosse, composizioni da girone dantesco e immagini “zen”. Si mira a far leggere una crescita, una direzione, anzi le diverse direzioni che la sua pittura carica, dissonante e viscerale di volta in volta imbocca. I colori squillanti; la tensione che risulta dalla contrapposizione tra primo piano e fondo, quest’ultimo magmatico, denso, che sembra risucchiare ogni cosa (“Avrei sempre voluto fare quadri astratti ma la figurazione esce comunque fuori” spiega nella videointervista sopra citata); l’energia che sprigiona dall’evidente corpo a corpo con la tela, generano un discorso che interroga, coinvolge e mette in crisi l’osservatore, per conquistare il non agevole e inquietante approdo alla verità³.
L’esposizione, che gode del patrocinio del Pontificium Consilium de Cultura e dell’Ambasciata della Repubblica di Cuba presso la Santa Sede, è visibile in Piazza della Cancelleria 1 fino al 16 giugno (dal lunedì alla domenica dalle 10:00 alle 12:30 e dalle 15:00 alle 18:00), ed è a ingresso gratuito.
1 – 3: Luciano Caprile, Carlos Quintana, El mundo de la verdad, 2019