Di Carlotta Monteverde
Ha inaugurato il 25 agosto la IX edizione della Land Art al Furlo dedicata al Nero, che si svolgerà fino al 23 settembre 2018 con un ricco palinsesto di eventi e presentazioni; mentre a maggio è nata la Galleria Elettra, allargando, così, il proprio raggio d’azione e garantendo una continuità alla programmazione anche d’inverno.
La Casa degli Artisti prende vita nella Riserva naturale della Gola del Furlo nel 2011 grazie alla volontà e all’impegno di Andreina De Tomassi, giornalista, e Antonio Sorace, scultore. Associazione non profit nonché Residenza Creativa, si occupa tanto di territorio e ambiente che di produzione culturale: della «salvaguardia della biodiversità, non solo vegetale, e la difesa dell’arte sostenibile». Già nel 2010 le prime attività con le Passeggiate d’Arte; mentre dall’unione della Residenza e con queste ultime nasce la Land Art al Furlo. La decisione di molti autori di donare la propria installazione ha trasformato il distretto in un Parco-Museo con oltre cinquanta opere in permanenza. Ma Casa degli Artisti non significa solo arti visive: l’Associazione organizza incontri, conferenze, tavole rotonde volte ad approfondire storia, peculiarità e tradizioni della zona; ospita una Biennale di Poesia (La Zattera dei Poeti); ha coprodotto un documentario e un album musicale. Un impegno costante nello sviluppo di una «politica culturale gestita dal basso, privata e indipendente».
Entrambi di Roma e entrambi in carriera, avete deciso di abbandonare la città e investire le vostre risorse in un progetto di rilancio territoriale usando l’arte come mezzo. Puoi raccontarmi cosa ti/vi ha portato quassù e come è maturata l’idea?
Andreina De Tomassi: Sia io che Antonio abbiamo le mamme marchigiane e siamo innamorati del Furlo fin da piccoli e appena ci siamo messi insieme abbiamo deciso di scappare qui. Io ero inviata speciale del Venerdì, una dossierista; avevo 48 anni, all’apice della carriera, e me ne sono andata. Nel ’99 lui lasciava un lavoro come fotografo freelance in giro per il mondo. Dall’altra parte ci aspettava la natura con tutti i sensi che ti allerta. Antonio si è tuffato nella ricostruzione della Pieve di San Vincenzo e l’idea iniziale è stata subito di inventarci qualcosa per il territorio: siamo della razza che deve costruire insieme, due sessantottini contro l’autoritarismo, il potere, e vogliamo vivere in modo non convenzionale. Quando siamo arrivati pensavamo di stabilirci alla Pieve, sennonché passando per la Gola e vedendo la Casa crollare ci è pianto il cuore. L’abbiamo presa all’asta nel 2003. Antonio, che è molto più collettivista di me, ha iniziato a fare 18 bagni. Per gli amici.
Casa degli Operai, degli addetti alla Centrale idroelettrica e alla diga del Furlo, edificata negli anni ’20 del ‘900, è stata recuperata interamente da voi e adibita a Residenza per accogliere artisti durante il periodo della manifestazione.
Antonio Sorace: Abitiamo qui dal 2008; 5 anni di restauro serio… c’erano gli alberi dentro. Restauro conservativo perché abbiamo mantenuto tutto, dai pavimenti in graniglia, ai muri, alle porte interne. È stata concepita come una casa ecologica; persino le verniciature sono realizzate col grassello di calce, una pratica a basso costo e alta qualità, secondo gli insegnamenti degli antichi romani. Erano 4 appartamenti negli anni ’40: la parte inferiore è diventata un ambiente comune con cucina, spazio espositivo, ludico… mentre gli altri piani sono stati divisi secondo le singole stanze, diventando luoghi per dormire. Ho pensato fin dall’inizio all’ospitalità, soprattutto di artisti, ed è quello che sta avvenendo: diamo loro alloggio, per periodi più o meno brevi, gratuitamente.
Avete anche usato accorgimenti per ottenere uno spreco energetico minimo. E questo principio di “impatto zero” (o quasi) rispecchia l’impegno richiesto agli autori per le opere nel Parco. C’è qualche innovazione di cui vale la pena parlare?
Antonio Sorace: Varie, tra cui il recupero delle acque piovane che alimentano il frutteto. Il fotovoltaico non funziona qui, abbiamo poca assoluzione, ma stiamo pensando a una turbina eolica. Ho creato un impianto indipendente dall’elettricità che permette la dissipazione del calore delle stufe, ma bisogna essere in grado di accendere un fuoco… Una cosa carina, invece, è un innaffiatoio sul tetto così l’evaporazione raffredda la zona sottostante.
Mi hai raccontato che il territorio vive di terziario e di piccole aziende che hanno supportato i mobilifici o la produzione dell’acciaio. Acqualagna ha una tradizione di scalpellini, ad esempio. C’è anche una importante industria del tartufo. Molti paesi hanno goduto dei percorsi turistici e del fatto che la strada fosse obbligatoria per chi dall’Umbria volesse andare al mare. Il lato, però, dove si trova la Casa è sempre stato il meno conosciuto e visitato…
Antonio Sorace: Il Furlo è noto per l’abitato, dove c’è il ristorante in cui si è fermato Mussolini. In un servizio per Viaggi di Repubblica di neanche 10 anni fa sulle centrali Enel, che ho fotografato da Milano alla Calabria, ne è diventato la copertina e da quel momento si è sdoganato da questa parte, che da un punto di vista ambientale è più bello. Ci sono le montagne; la diga del 1920 in calcestruzzo che credo sia l’unica ancora in piedi; sulla Flaminia c’è una galleria romana del 76 d.C., fatta a mano, che tutt’oggi si usa. La nostra è l’ultima residenza della gola, bisogna arrivarci volutamente e qui termina il comune di Fossombrone. Un posto che molti non avevano mai visto. Adesso, con la manifestazione, con la Casa degli artisti, comincia ad essere luogo di elezione.
Che rapporto ha la vostra Associazione coi Comuni limitrofi? Che tipo di relazioni avete intessuto con le diverse realtà che insistono sulla zona e come è cambiato nel tempo?
Antonio Sorace: Siamo partiti collaborando a tre edizioni della Festa del Fiume, assieme all’Enel, organizzando una estemporanea di pittura sulla diga. Il fatto di avere un unico angolo di visuale, per quanto potesse cambiare lo stile di ogni artista, dopo un po’ mi è sembrato noioso e nel 2010 ho proposto di arricchire il territorio con delle opere. Ho fatto richiesta – senza risultati – ai Sindaci dell’alveo del Candigliano e del Metauro di essere partner non economici per realizzare 27 sculture per 27 paesi sparsi in 110 km, creando un itinerario. Il luogo di installazione sarebbe dovuto essere l’alveo stesso, innescando un doppio effetto, anche ambientale. Dopodiché noi abbiamo inaugurato la Casa e abbiamo deciso di riadattare il progetto per il nostro giardino.
Avete scelto l’arte – e non solo, ne parleremo subito dopo – per riattivare un circolo virtuoso nella gola. Quali modelli e esperienze vi hanno guidato?
Andreina De Tomassi: Ho iniziato giovanissima aprendo una galleria nel ‘73 a Trastevere, Artigiarte, dove ho fatto mostre soprattutto di grafica. Poi ho diretto per un anno lo spazio sotto il Piccolo Eliseo occupandomi di quadri, mentre all’università ho studiato sociologia dell’arte e della letteratura: mi interessa l’idea registica, la messa in scena. Più di recente sono state importanti sia la consuetudine con Antonio Presti e Fiumara d’Arte, che con Mondanino, in Romagna, una residenza di teatro e danza. Abbiamo messo insieme questi esempi ed è uscita fuori la Casa con la Land Art. La prima edizione nel 2010 fu meravigliosa, si chiamava Semina dell’arte, ed è stata una prova. Abbiamo chiamato principalmente amici e Presti ha fatto una bellissima conferenza di presentazione.
All’inizio avete portato avanti anche un discorso sulla biodiversità…
Andreina De Tomassi: Quella è la base. La natura è l’unico nostro dio e cerchiamo di preservarlo. Conserviamo 32 piante di frutta antica, rose antiche e una mela rarissima che sono venuti dalla Regione a studiarla. Tutto parte da un discorso ecologico, persino le opere d’arte non devono dar fastidio, rompere, spaccare. Abbiamo fatto moltissime escursioni alla scoperta del territorio, con il geologo, lo storico, l’antropologo, il linguista, per capire dove si è; e parecchi corsi. Io vedrei l’offerta parallela. La passeggiata d’arte è una camminata in un luogo di impressionante bellezza, con dei segni, opere, che suscitano curiosità e domande. Poi non c’è solo la Land Art, ma La Zattera dei Poeti, che buttiamo nel fiume coi poeti sopra; la Notte delle civette, perché è una zona di passaggio dei rapaci… Tante tante cose, sono quasi dieci anni.
Ora c’è un Bando ma le prime edizioni di Land Art erano su invito. Come si sono evolute nel tempo la selezione degli autori e l’organizzazione interna?
Andreina De Tomassi: Al principio era un tam-tam, soprattutto grazie a Nedda Bonini, Yvonne Ekman e Antonio Presti, che nel 2010 ci ha fatto avere un grande artista, Mauro Staccioli, con 5 mezze lune di cemento sul camminamento della diga. Nel 2014 abbiamo sentito l’esigenza di delegare la scelta: abbiamo formato una commissione di esperti con una curatrice, Alice De Vecchi, Elvio Moretti il vicepresidente, e io stessa che sono la cofondatrice. Una volta abbiamo coinvolto quattro curatori, nord, centro, sud e Marche e chiesto loro di chiamare gli artisti. Fu una mostra divertente.
Antonio Sorace: Elvio Moretti è una figura legata anche all’archiviazione e sta conservando tutti i disegni delle opere. Stiamo immagazzinando i progetti selezionati e non, e li faremo diventare un volume con le installazioni più importanti dal 2010 ad oggi.
Nei criteri di ammissione, oltre all’aderenza al tema stabilito (e alla reale fattibilità), viene valutato soprattutto – lo abbiamo ripetuto più volte – il rispetto per l’ambiente circostante.
Antonio Sorace: La natura qui è mediamente controllata, non troppo antropizzata, ha la possibilità di sfogare come vuole, senza interventi eccessivi o leccati. E le opere devono essere il meno possibile invadenti. Anche con la luce notturna stiamo attenti: il nostro è un impegno verso il paesaggio che vorremmo consegnare migliore di come l’abbiamo ricevuto. La struttura funziona perché la libertà è ampia, c’è un tema ogni anno ma è una guida. Non accettiamo materiali che si degradano e che rovinano, ma strutture di tipo plastico, che si conservano bene, non creano problemi. Nelle ultime edizioni, infine, non è una Land Art pura ma un parco di sculture.
Non solo…
Andreina De Tomassi: La Land Art ha delle regole da rispettare, come ad Arte Sella dove devi usare gli elementi del luogo; invece qui ci piace ricorrere al video, alla performance, al teatro, alla fotografia, a tutta quella riflessione dell’uomo sulla vita che è l’arte. Nella prima edizione già c’era una performance con Ruggiera Maggi, una ballerina che danzava su delle ombre cinesi. Io considererei la Casa come un teatro naturale in cui sperimentare con lavori di diversa origine.
…Che si sommano col passare degli anni. Molti autori decidono di lasciare qui le loro opere e di donarle al Parco, sempre con il concetto secondo cui un giorno la natura le riassorbirà.
Andreina De Tomassi: Alcune scompaiono, altre si rompono. C’era un grazioso artista di Salerno che aveva fatto una stele che è durata due giorni perché i cinghiali hanno deciso di giocarci a palla. Bisogna trovare idee che non diano fastidio agli animali: sono loro che comandano. Così come il vento e le escursioni termiche.
A proposito di danneggiamenti: avete instaurato un canale privilegiato con Professori e studenti dei corsi di restauro dell’Università di Urbino…
Andreina De Tomassi: È un campus. Noi siamo utili loro perché forniamo materia prima con le opere da restaurare e loro si esercitano sul contemporaneo. Lavorare su una tela del ‘500 ormai è consolidato, invece intervenire su strutture aeree, su un graffito o sulla gomma di masticare? Ogni materiale è diverso. Poi in genere l’artista è vivo: come rapportarsi con lui? Ci sono tanti argomenti da sviscerare. E noi facciamo incontri su questo ad hoc.
Dall’università alle scuole, coinvolgendo alunni non solo con visite e incontri ma dando loro l’opportunità di realizzare sculture e confrontarsi con artisti provenienti da tutta Italia.
Antonio Sorace: Nel 2017 abbiamo avuto rapporti con i ragazzi dei licei artistici di Urbino, Fano e Pesaro. Siamo andati a illustrare la Casa, e abbiamo dato loro la possibilità di partecipare con un’opera collettiva o di un singolo ma senza passare attraverso la selezione. Abbiamo fatto un sopralluogo di una giornata con ciascuna classe nel parco e mi ha colpito il fatto che non andassero nei musei, considerati cosa morta, chiusa, a differenza dell’entusiasmo dimostrato qui, dove l’arte si può toccare, l’ambiente è bello, c’è una natura poco controllata.
Gli artisti che affollano la Casa nel periodo della manifestazione, durante l’anno vi vengono a produrre? Come funziona la Casa al di fuori dei due mesi dedicati alle edizioni di Land Art?
Antonio Sorace: Durante l’anno no. Sono pochi quelli che vivono della loro arte. Gran parte ha un lavoro e l’intervento nella natura è un impegno che possono portare avanti solo saltuariamente.
Andreina De Tomassi: Questo grande corpo sociale dei giovani sessantottini non è morto, è invecchiato semplicemente e la necessità di fare le cose tutti insieme, che ci ha perseguitato da allora, qui funziona a tratti perché sono, come dice il paesologo Franco Erminio, comunità temporanee. Cioè in un tempo e in uno spazio specifico si creano delle comunità e lì allora mangiamo insieme, creiamo insieme, andiamo a fare la spesa, litighiamo, si creano gruppi. È un luogo di lavoro e di confronto con una vita precisa.
Oltre all’apertura della galleria, alla sua seconda mostra, avete acquistato un’altra casa. Cosa c’è da aspettarsi?
Andreina De Tomassi: Da qui a quattro anni… Abbiamo pensato di fare un tutt’uno: diventerà una dependance di questa parte principale e realizzeremo mostre anche lì.