08.03 – 08.04.2022
eastcontemporary, Milano
Testo di Rossella Farinotti
Un battito di palpebra.
Emilia Kina mette alla prova il suo pubblico attraverso uno scambio di ruolo e di percezione. Le sue opere pittoriche agiscono sui sensi in maniera complessa e lenta. Ogni pittura realizzata per la mostra a Milano gioca intrecciando diverse stratificazioni sensoriali e analitiche. Al primo impatto, quello dove l’estetica emerge sopra l’analisi del senso e del linguaggio, il fruitore osserva i soggetti dall’apparenza delicata, morbida, lineare, gradevole e sensuale, resa dai colori e dai materiali utilizzati. I dipinti di Emilia sembrano piatti, lisci, limpidi. Sarà per via dei rosa – quelli soft colore cipria, o più densi a ricordare una pelle carnale -, del verde, del bianco panna striato di azzurro lieve che attirano lo sguardo imprigionando l’occhio che viene assorbito da questi grandi soggetti che osservano lo spazio della galleria e ciò che accade li dentro. Questi colori pastello, dall’apparenza pacata e infantile, pian piano si trasformano in cellule astratte, da mettere a fuoco, catturando sguardo e mente: sono grandi occhi e spiragli con palpebre aperte; sono sipari chiusi tridimensionali; sono binocoli che osservano quello che sta accadendo, forse con giudizio, sicuramente con l’intento di attirare il pubblico verso di sé. Kina attualizza un voyerismo condiviso e circolare. Nello spazio della galleria, puntellato da sette lavori di grandi dimensioni, la sensazione è quella dell’accerchiamento, di un imprigionamento delicato e confortevole che si dilata sviluppandosi in una riflessione più lenta e ampia. Il contesto si capovolge mutandosi in qualcosa di non piacevole e carico d’ansia.
Inglobare il pubblico in un pensiero circolare.
Ogni opera è tridimensionale. Più che dipinti sono sculture. L’artista polacca non lavora su tela questa volta, e neppure sulla fotografia – un mezzo che, comunque, concettualmente ricorre anche in questo corpo di lavoro -, ma su tavole in legno dallo spessore tangibile, a creare tessuti che si aprono e chiudono come in un circuito in perenne movimento. La sua azione pittorica non si basa sul figurativo: l’artista non crea soggetti o simboli da osservare come in una messa in scena narrativa. Il suo racconto è più sofisticato, gioca sul rovesciamento di ruoli tra osservatore e soggetto guardato; tra movimento restituito dalla materia non piatta; dai tagli modulari nel legno e agli assemblaggi tra un’opera e l’altra. Il grande sipario, che appare davanti agli occhi che sbirciano lo spazio, ricorda le estroflessioni dell’italiano Bonalumi, che Emila Kina non rende però plasmando e riempiendo l’opera dall’interno, ma lavorandoci esternamente, modellando il legno mostrandone le stratificazioni sottili attraverso nuance di colore e contrasti di luce e ombra. L’artista dunque non agisce solo sul primo livello di percezione visiva, ma indica la tecnica minuziosa che utilizza tra pittura e l’artigianalità dei ritagli e delle onde create nel materiale. Quei medesimi ritagli e movimenti che ritmano la superficie di ogni singolo lavoro, coinvolgendo il pubblico proprio come in un piccolo spettacolo fatto di luci e di colori astratti, sfuocati.
L’occhio si approccia all’opera come a uno spioncino da cui scrutare grandi sensuali fessure che richiamano, ancora una volta, lo sguardo e, quindi, l’organo della vista. È un circuito che si ripete e che dilata il tempo. Sembra che non ci sia urgenza, che bisogna analizzare il contesto con calma, perché si è all’interno di una messa in scena densa e stratificata.
Un’atmosfera lenta e sospesa che dichiara un’urgenza di azione.
Dove ci troviamo? È un’atmosfera intima, avvolgente e tenue quella creata da Emilia Kina. Un ambiente che sottende una chiara riflessione: non basta uno sguardo, serve il pensiero. Il pubblico non è più passivo, si deve risvegliare per spiare, capire, assorbire per poi attivare una critica necessaria. Questo unicum di opere scenografiche sembrano indicarci tutte le tematiche qui sviscerate come in una trappola che ha attirato sguardi e sensi. È come immergersi in un’alcova non confortevole da cui, però, uscire più arricchiti, invertendo visioni soggettive nei confronti di una panoramica globale e collettiva dall’apparenza opaca. Il grande occhio dalla nera pupilla – che è lucida, vivida, giudicante – ipnotizza, ponendoci sotto i suoi riflettori, attraverso le linee di luce che sbucano dai verdi striati come griglie di una finestra. Sembra HAL 9000, il super computer di bordo umanizzato di “2001: Odissea nello spazio”, che si finge amico, per poi tradire. Eyelip, la grande palpebra tridimensionale dipinta e scolpita da Kina, attrae restituendo quello sguardo in soggettiva che richiama il cinema voyeristico di Orson Welles, con le atmosfere di Lars Von Trier, che lascia l’umano sotto il controllo del potere astrale. Questi occhi, con o senza palpebre, appaiono come oggetti senza tempo, capsule fantascientifiche, o di natura antica. Sono lenti di ingrandimento che dialogano con un’opera di diverse fattezze: un grande binocolo raffinatamente dipinto in cui lo sguardo si sdoppia. Sembra sfuocato e non si fa guardare. Ma avvolge e cattura. Imprigiona e poi respinge. È impossibile rimanere indifferenti. Kina crea un linguaggio visivo dall’estetica composta da strati di colore minuziosamente stesi per diventare qualcos’altro. Tutte chiavi di lettura per risolvere un rebus complicato che problematizza il momento storico in cui la scena si apre per poi richiudersi davanti a tanti sguardi.
Rossella Farinotti
Emilia Kina (n. 1990, Cracovia, Polonia) si è laureata presso la Facoltà di Pittura dell’Accademia di Belle Arti di Cracovia. La sua pratica artistica si articola principalmente intorno alla pittura e alla fotografia. L’artista si interessa alla materialità dell’immagine, un medium semplice che però ha origine da problematiche complesse, la cui essenza risiede nelle relazioni tra la pittura come immagine e la pittura invece intesa come oggetto. Emilia Kina ha recentemente esposto alla Szara Kamienica di Cracovia, alla Raster Gallery di Varsavia, alla Fondazione Stefan Gierowski di Varsavia, alla Kristin Hjellegjerde Gallery a Londra, così come in occasione di alcune fiere d’arte internazionali come Artissima a Torino 2021 e NADA Miami 2021.
eastcontemporary
Via Giuseppe Pecchio 3, Milano
info@east-contemporary.org, www.east-contemporary.org
Orari: martedì – sabato 15 – 19
Ingresso gratuito
La mostra è stata organizzata grazie al sostegno del Consolato Generale di Polonia a Milano, dell’Istituto Polacco di Roma e dell’Istituto di Adam Mickiewicz.
Copertina: Emilia Kina, The Eyelid, installation view, 2022, Milano. Photo: Tiziano Ercoli. Courtesy eastcontemporary