
Alessandro Manfrin. Blueback
A cura di Giulia Menegale
Per la sua personale a Platea, Alessandro Manfrin espone una serie di manifesti pubblicitari recuperati dalla città, rovesciati e riassemblati quasi fossero un cielo dove lo sguardo dello spettatore è destinato a perdersi, disorientato. Attraverso questa operazione, l’artista lascia scoperte le carte blue back sul retro dei manifesti. Quest’ultimo è un materiale usato nella cartellonistica pubblicitaria, al fine di coprire i poster sottostanti quando ne vengono affissi di nuovi, impedendo che le immagini stampate in ciascuno strato interferiscono tra loro. Ora strappati, ora arrotolati e abbandonati a terra. Questi materiali affascinano l’artista per la loro capacità di trattenere le tracce della vita urbana. Il ritmo frenetico della città contemporanea appare trascritto nelle croste e increspature di questi manifesti pubblicitari ancor prima che l’artista li raccolga per trasformarli nella carta da parati che copre la stanza di Platea, ora nella sua totalità.
I poster pubblicitari vengono sottoposti a un ricambio continuo sulle billboard della città, sotto gli occhi assuefatti di coloro che la abitano. La città che Manfrin ritrae è Milano, luogo in cui l’artista vive e che è soggetto di numerosi dei suoi lavori precedenti a quelli esposti a Platea. L’artista descrive Milano a partire da quegli oggetti che lui stesso definisce “esausti, stanchi”. I cartelloni pubblicitari dismessi sono infatti oggetti che hanno perso la loro capacità di suscitare l’attenzione di coloro che vi passano accanto. Ammucchiate ai bordi delle strade, le matasse di sfondi blu sono percepite dall’artista come l’involucro di un inconscio urbano deprivato della sua naturale capacità di produrre nuovi desideri. Attraverso i suoi vagabondaggi, Manfrin è interessato a “rintracciare le cicatrici dell’accelerazione” legata a “un consumismo ipertrofico” che si riproduce a vari livelli della realtà urbana —per mezzo delle persone che la abitano, come anche per mezzo del ciclo di vita dagli oggetti. In questo senso, le carte blue back esposte dall’artista a Platea sono una pelle. Lo spettatore è posto di fronte all’immagine del corpo scuoiato della città di Milano, senza alcuna mediazione.
L’artista raccoglie e colleziona lo sfondo blu dei cartelloni pubblicitari per poi stenderli sotto una pressa, improvvisata nel suo studio milanese. Operando in questo modo, Manfrin rende questi manifesti strappati nuovamente fogli lisci pronti al riuso. A Palazzo Galeano, le carte blue back prelevate dalla metropoli di Milano ricoprono interamente gli interni di Platea in una posizione inconsueta rispetto a quella con cui si trovano normalmente affissi nelle città. Le immagini pubblicitarie infatti, delle quali i supporti blue back incarnano il retro, o lo sfondo, non sono più accessibili alla vista dello spettatore. Manfrin compie questa azione di rovesciamento di livelli, tra la carta blueback e la stampa pubblicitaria, imponendo un abbondante grado di astrazione all’immagine finale che l’artista presenta durante la propria mostra personale. Grazie al ricercato effetto di pressoché totale sovrapposizione tra le pareti dello spazio e il materiale impiegato, i perimetri delle pareti di Platea limitano e comprimono la visione potenzialmente sconfinata e senza orizzonte generata dall’azzurro della carta utilizzata. “Blueback” dunque riesce a fare convivere, da una parte, il tentativo di trasformare in visione l’odore acre e malsano della città che l’artista introduce a Platea con questo lavoro e, dall’altra, l’immaginario romantico e poetico de “Il un cielo in una stanza”, come recita il popolare ritornello del brano di Gino Paoli .
L’azione proposta da Manfrin si distingue da pratiche che potrebbero essere ritenute affini –tra queste si possono citare esempi storici, come i détournement situazionisti, o la pratica del flâneur di benjaminiana memoria, tra altri– per assumere una postura nei confronti della città ne’ respingente e moralista, ne’ corrispondente a un totale senso di estatico abbandono e fascinazione. Il paesaggio urbano è descritto nei lavori dell’artista attraverso una stratificazione dei molteplici luoghi e temporalità che lo caratterizzano, ora fusi in un’unica immagine. Questo è il risultato degli attraversamenti della città compiuti da Manfrin, durante i quali la soggettività dell’artista viene silenziata senza mai essere del tutto assente. Ponendosi come un collezionista di materiali urbani, l’artista ci mostra la poesia spontanea generata attraverso l’uso, il consumo e infine l’abbandono degli oggetti comuni della città.
Alessandro Manfrin vive e lavora a Milano. Nel 2021, conclude il percorso di studi in arti visive presso l’Università Iuav di Venezia. Il suo lavoro è stato esposto presso Gian Marco Casini Gallery, Livorno (IT); DEGREE SHOW II, Palazzo Monti, Brescia (IT); JaguArt x Artissima, Venezia (IT); Aqua, a cura di Eva Comuzzi, Lignano Sabbiadoro (IT).
Platea | Palazzo Galeano
Corso Umberto I, Lodi
www.platea.gallery