
Ilaria Abbiento. Incanto
A cura di Carmelo Cipriani
L’Associazione VerginiSanità da oltre dieci anni si occupa della valorizzazione dell’area del Borgo dei Vergini e del Rione Sanità a Napoli, attraverso attività di ricerca sul territorio e l’organizzazione di eventi culturali. Dal 2014 gestisce il Sito Archeologico che conserva i resti dell’Acquedotto Augusteo del Serino, di epoca romana, ritrovati nei sotterranei di Palazzo Peschici-Maresca, di proprietà dell’Arciconfraternita dei Pellegrini.
Dal 2017 ha dato avvio a un programma di arte contemporanea con un ciclo di mostre temporanee e, parallelamente, una serie di attività che hanno come scopo la promozione del sito e del contesto locale, tra cui visite guidate e workshop con residenti e studenti. Il progetto si propone di intervenire nel tessuto del quartiere, attirando un numero sempre crescente di visitatori e attivando un circolo virtuoso di sensibilizzazione nei confronti del patrimonio archeologico e architettonico esistente. Dal 2022 il sito è inserito nella piattaforma web del Ministero della Cultura “Luoghi del Contemporaneo”.
Il sito Acquedotto Augusteo ospiterà, dal 20 ottobre 2023 al 7 gennaio 2024, una installazione site-specific dell’artista Ilaria Abbiento dal titolo incanto a cura di Carmelo Cipriani.
Il progetto artistico ha ricevuto il Matronato della Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee e il patrocinio morale del MANN Museo Archeologico Nazionale di Napoli e della Municipalità 3 del Comune di Napoli.
L’evento è incluso nel programma ArtDays Napoli Campania 2023 ed è evento speciale nell’ambito di Open House Napoli 2023.
L’INCANTO DI ILARIA ABBIENTO
di Carmelo Cipriani
“Sono diventata una balena” mi confessa Ilaria Abbiento in una delle nostre più recenti conversazioni, una delle tante. Imbarazzato, inizio a ridere. A lei mi lega un duraturo legame di stima e amicizia. Mi affretto a dirle che non è così. Compreso l’equivoco, lei sorride e mi ammonisce bonariamente: “Che hai capito? La ricerca per la nostra mostra mi ha portato a sentirmi una balena”. Mi spiega che il suo più recente lavoro l’ha condotta ad un’affezione sincera verso le balene fino all’immedesimazione. L’ironico fraintendimento è chiarito. Scopro che le balene sono le protagoniste della sua nuova personale intitolata “incanto”, allestita nel suggestivo scenario dell’Acquedotto Augusteo del Serino, in Palazzo Peschici-Maresca. Un luogo in cui l’acqua era incanalata, irreggimentata, è restituito dall’esposizione alla naturalità dell’elemento, quest’ultima celebrata nella sacralità dell’arte.
Promossa dall’Associazione Verginisanità la mostra ci porta nel cuore di Napoli, nel quartiere della Sanità, tra i più rappresentativi e autentici. Il titolo è di per sé esplicativo, foriero di un triplice significato. La parola nella sua totalità allude alla condizione estatica che si prova nell’osservare le balene, ma anche al senso di sublime che, più in generale, determina la contemplazione del mare. Diviso invece in una parte rinvia specificatamente ai cetacei, alla loro capacità comunicativa (e incantatrice), nell’altra il prefisso “in” è rievocativo dell’interiorità, dell’introspezione.
L’origine del progetto espositivo risale all’aprile 2021 quando è circolata la notizia dell’avvistamento, nel Golfo di Napoli, di Wally, una rara balena grigia persa nel Mediterraneo. La preoccupazione per il cetaceo si diffonde rapidamente: molti temono che non riuscisse ad alimentarsi e a ritrovare la via per l’Oceano Pacifico, il suo habitat naturale. L’insieme di notizie colpisce particolarmente Ilaria Abbiento, che da oltre un decennio studia e ritrae il mare, ne coglie umori e dolori, ne indaga il potere simbolico ed evocativo esaltandolo nelle sue opere, fino ad instaurare con esso un rapporto simbiotico e di reciproco sostegno. Il pensiero della balena presumibilmente in sofferenza in acque troppe basse la turba. Quello in cui tutto ciò avveniva era un momento di nuove restrizioni imposte dalla pandemia. Nell’animo dell’artista si attua una sorta di trasfert: lei come la balena soffre per la costrizione in spazi ristretti, l’una e l’altra private della possibilità di vivere il loro elemento vitale, elettivo per Ilaria, originario per Wally: il mare aperto. Inizia ad interessarsi alle balene, studia i loro comportamenti, soprattutto il canto, e ne approfondisce la sacralità presso alcune civiltà antiche come i nativi americani, i maori e i celti. Ancor di più analizza le possibilità d’interazione con l’uomo, in particolare la pratica dell’osservazione, attività certamente affascinante ma potenzialmente dannosa per l’animale e per l’uomo oltre che per l’ambiente. Legge “The Delicate Art of Whale Watching” di Joan McIntyre, libro del 1980 mai tradotto in italiano, che fa giungere dagli Usa, in cui l’osservazione è analizzata più da un punto di vista etico che scientifico. Ne rimane affascinata, scoprendovi inattese possibilità di connessione.
Tutte queste suggestioni hanno dato origine al percorso sensoriale che oggi vediamo. Sotto l’effervescente quartiere della Santità, cuore pulsante di Napoli, superati i rumori e le voci di quanti quotidianamente lo abitano o lo visitano, Ilaria Abbiento ci invita ad immergerci nella calma delle viscere cittadine. Agendo da novella sirena, ci ammalia, ci prende per mano e ci conduce in un mondo che non è il nostro ma che avvertiamo inspiegabilmente familiare. Tra i resti di un antico acquedotto ci offre il godimento di una mostra immersiva e sinestesica. Una volta discesi, avvolti dal blu marino, si vaga nello spazio senza una meta precisa né un senso di visita predeterminato, guidati solo dal canto delle balene, che si fa ora più vicino ora più lontano. La balena potrà apparire oppure no, ma questo ha poca importanza. Ciò che lo ha è invece il suo esistere, testimoniato dal suo canto. Come la balena, sospesa tra emersione e immersione, è anche l’artista, divisa tra il lavoro solitario in studio e la visibilità delle esposizioni, condizione entrambe necessarie, che trovano il loro punto di contatto nell’opera, attestazione di esistenza personale e condivisibile.
Roland Barthes in “La camera chiara” del 1980 ha scritto: “Ogni fotografia è un certificato di presenza”. Ilaria Abbiento rivendica questa presenza attraverso un lavoro mai didascalico, che include la fotografia ma dalla quale riesce anche ad esulare in favore di un approccio lirico, sentimentale, finanche concettuale con la realtà. Ed è in tal senso che “incanto” costituisce una tappa fondamentale nel suo percorso speculativo. Essa è, tra le sue tante mostre, la prima in cui non compare neanche una foto, in cui la dimensione installativa prevale sull’osservazione della singola opera. Una scelta attesa e prevedibile se si analizza il percorso fin qui compiuto. Da tempo, infatti, l’artista rigetta l’etichetta di “fotografa” ponendo, nell’operare artistico, il fare innanzi al mezzo. La scelta del primo, diretta emanazione del pensare e del sentire, non è per lei esauribile in quella del secondo. Per questo una definizione basata sull’unicità di uno strumento le sta stretta, risultando inevitabilmente inefficace per spiegare ragioni e modalità del suo lavoro. La fotografia è per Abbiento indubbiamente il modo attraverso cui indagare il mare, ma lo sono anche il video, il suono, la parola, la luce, l’accumulo di oggetti significanti. Questa pluralità di media diviene oggi corpo unico e organismo vivente, amplificando la portata del suo messaggio. Anche questo come il linguaggio si è fatto plurimo, pur mantenendo la centralità del tema. La sua indagine, fino ad oggi volta a rileggere il mare in chiave memoriale ed esistenziale, si è aperta in modo deciso ed esplicito alla dimensione ambientale. “Il mare è sacro” recita la scritta in vetro temperato, realizzata con l’antica tecnica del vetro soffiato, che il visitatore scorge nel suo percorso di scoperta dello spazio. Un libero vagare che per l’artista coincide con l’esplorazione di se stessi, con il confidarsi e il guardarsi dentro. Due differenti grafie compongono la scritta, una è quella dell’artista, l’altra è quella di una persona a cui essa è profondamente legata. Un dettaglio fondamentale, che oltre a ribadire il suo amore sincero verso il mare, ne conferma il ruolo di sodale, di confidente, di complice. La fusione delle due grafie rappresenta un profondo atto d’amore, tra due persone ma anche tra queste e il mare, il tutto da inquadrarsi in una dimensione che da individuale si fa collettiva.
A tutto questo è funzionale l’acquedotto, restituito nella sua essenza di luogo intimo e silenzioso, reso simile al fondale marino ma anche al ventre materno. A questa similitudine rimanda l’ultima opera in mostra, un video girato sott’acqua. Un lavoro che ha il suo pendant in “Teorema Celeste” del 2020, video presentato l’anno scorso alla Fondazione Pino Pascali di Polignano a Mare e che oggi torna in mostra a Napoli, in Palazzo Fondi, in una non prevista ma significativa coincidenza con la mostra all’Acquedotto. In “Teorema Celeste” la ripresa della mutevole superficie marina si accompagna ad un suono tenue, ovattato, registrato dalla NASA nello spazio, che a molti fa pensare proprio al canto delle balene, in una suggestiva connessione cosmica tra ciò che è oltre il cielo e ciò che vive sotto l’acqua, tra spazio astrale e profondità marina. Nel video in mostra alla Sanità la registrazione con la videocamera subacquea fa coincidere lo sguardo dell’artista (e dello spettatore) con quello della balena. Le riprese sono state eseguite anche su bassi fondali, in tutto simili a quelli che Wally deve aver visto prima di riuscire, con l’aiuto dell’uomo, a riprendere il largo. Torna l’immedesimazione tra l’artista e l’animale, ribadita da un intento che è, ancora una volta, più poetico che scientifico. Ilaria Abbiento non ha visto Wally, né ha mai incontrato una balena. Spera un giorno di riuscirci ma se ciò non dovesse accadere non importerebbe perché lei sa di essere legata a quello straordinario animale da una connessione intima e sincera. Non un incontro reale dunque ma elettivo, un sentimentale processo di sovrapposizione tra due esseri distanti eppure connessi nella loro comune esistenza sulla Terra. La mostra svela i processi mentali e sentimentali che muovono l’artista; costituisce un invito a immergersi nel suo oceano interiore, a esplorare il suo amore per il mare, a farsi guidare dal suo metodo e dal suo sentire fino a scoprire se stessi, uno per volta e poi tutti insieme, connessi in quell’organismo unico e meraviglioso che chiamiamo Natura.
Ilaria Abbiento è un’artista partenopea. La sua ricerca artistica, incentrata da molti anni sul mare, parte da un’immersione introspettiva volta a costruire una narrazione poetica che, costellata da immagini, materia, testi poetici e letterari, percorre itinerari cartografici immaginari e indaga il suo oceano interiore. La sua pratica spazia dalla fotografia, alle installazioni site-specific, al video. Allieva dell’artista Antonio Biasiucci nel 2012, orienta il suo percorso verso una ricerca artistica autoriale. Le sue opere sono state esposte in molte gallerie d’arte e musei prestigiosi sia in Italia che all’estero tra cui Fondazione Pino Pascali, Polignano a Mare (2022), PAC-Padiglione d’Arte Contemporanea, Milano (2022), Acquario Civico, Milano (2022), Pac/Porto d’Arte Contemporanea, Salerno (2021), Institut Culturel Italien, Parigi, Francia (2021), Fondazione Francesco Fabbri, Treviso (2021), Fondaco Arte Contemporanea, Bra (2021), Museo di Villa Pignatelli, Napoli (2019), Art Pur Gallery, Riyad, Arabia Saudita (2019), Hafez Gallery, Jeddah, Arabia Saudita (2019), Le Quadrilatère Galerie, Beauvais, Francia (2018), Castel Dell’Ovo, Napoli (2017). Alcune opere sono presenti in Collezioni d’Arte pubbliche e private tra cui il Museo Pino Pascali, Imago Mundi Art, e la Biblioteca Vallicelliana di Roma. Ha partecipato a varie residenze d’artista tra cui Residenze Mediterranee, Corsica (2021), Plaza Art Residency, isola di Capraia (2020), The Photosolstice, isola dell’Asinara, Sardegna (2019), BoCs Art, Cosenza (2015). Ha esposto in Festival di fotografia internazionali tra cui Recontres PhotoGaspésie, Canada (2023), Photolux Festival, Lucca (2022), Photaumnales, Francia (2018). Ha vinto diversi premi e ha avuto molti riconoscimenti, tra cui un’opera finalista alla decima edizione del Premio Francesco Fabbri per le arti contemporanee (2021).
Acquedotto Augusteo del Serino
Via Arena Sanità 5, Napoli
www.verginisanita.it, associazioneverginisanita@gmail.com, +39 328 1297472
Orari: ogni sabato e domenica 10.30-13.00