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Lou Masduraud, Petrifying basin (kisses from the nymphs), Swiss Art Awards 2022. Immagine © Moritz Schermbach

L’arcobaleno riposa sulla strada

Istituto Svizzero, Roma

Pascale Birchler, Miriam Laura Leonardi, Hunter Longe, Lou Masduraud, Luzie Meyer, Meret Oppenheim, Ser Serpas
A cura di Gioia Dal Molin

«Quando qualcuno parla una lingua propria, nuova, che nessuno ancora capisce, a volte deve aspettare a lungo prima di sentirne l’eco» — Meret Oppenheim (1913-85) in occasione del suo discorso al Premio d’arte di Basilea del 1975.

Sulla scia delle retrospettive, quasi onnipresenti, dedicate all’artista svizzera Meret Oppenheim, la mostra romana L’arcobaleno riposa sulla strada (il titolo deriva da una poesia scritta dall’artista nel 1933) indaga proprio questa eco.

Una selezione di opere di Meret Oppenheim viene messa in dialogo con lavori di artiste e artisti di una generazione recente. La coraggiosa personalità di Meret Oppenheim, la sua visione del mondo e la pratica artistica, continuano ad affascinare ancora oggi: l’esplorazione del subconscio, dei sogni, del legame tra creazione visiva e lirica, la riflessione sulla propria posizione di ‘artista donna tra gli artisti’ (come scrisse ai genitori negli anni Trenta) e la sua partecipazione attiva ai dibattiti femministi degli anni successivi, sono temi ancora oggi molto attuali nel panorama artistico contemporaneo.

Le artiste e gli artisti invitate/i alla mostra – Pascale Birchler, Miriam Laura Leonardi, Hunter Longe, Lou Masduraud, Luzie Meyer e Ser Serpas – presentano opere nuove e già esistenti in risposta a queste tematiche, generando una sorta di ‘rilettura’ della poetica di Meret Oppenheim.

Meret Oppenheim nasce a Berlino, nel quartiere di Charlottenburg, nel 1913. Suo padre è il medico tedesco-ebreo Erich Alfons Oppenheim, sua madre la svizzera Eva Wenger, figlia dell’artista e attivista per i diritti delle donne Lisa Wenger. Trascorre l’infanzia e la giovinezza a Delémont, nel Giura bernese, nel sud della Germania e a Basilea, dove frequenta la Scuola Rudolf Steiner. Cresce in un ambiente colto e borghese, aperto all’arte, alla letteratura e alla filosofia. I nonni materni possiedono una casa a Carona, in Ticino – il Monte Verità è poco lontano – dove Meret Oppenheim conosce i dadaisti Emmy Hennings e Hugo Ball, e altri personaggi come Hermann Hesse. A casa si discute degli scritti, allora molto attuali, di C.G. Jung che, dal 1909, ha uno studio privato presso la sua abitazione a Küsnacht, vicino a Zurigo. Spinta dalle riflessioni di Jung sui sogni come espressione dell’inconscio, Meret Oppenheim inizia a trascrivere i suoi fin dall’età di 14 anni.
Nel maggio 1932 Meret Oppenheim va a Parigi con la pittrice basilese Irène Zurkinden (1909-1987) per trasformare in realtà il suo desiderio di diventare un’artista. Frequenta occasionalmente i corsi dell’Académie de la Grande Chaumière, l’accademia d’arte di Montparnasse, disegna e scrive poesie. Al Café du Dôme incontra artisti come Pablo Picasso, Alberto Giacometti, Max Ernst e Man Ray. Nel 1933 espone con i surrealisti al Salon des Surindépendants e successivamente partecipa ad altre mostre del gruppo. Risale a questo periodo la famosa scultura di pelliccia Déjeuner en fourrure (del 1936, l’opera viene acquistata dal MoMa di New York nello stesso anno) e Ma gouvernante, My nurse, mein Kindermädchen (1936), un paio di scarpe con tacco alto collocate su un vassoio d’argento.
Nel 1936 la giovane artista rientra in Svizzera: la minaccia della guerra in Europa e la depressione sono i motivi del suo ritorno a casa. Meret Oppenheim frequenta la Kunstgewerbeschule di Basilea fino al 1939 ed entra in contatto con i gruppi di artisti svizzeri d’avanguardia Allianz e Gruppe 33. Le opere nate in questi anni sono spesso cupe e parlano di guerra e isolamento; molte le lascia incompiute, altre le distrugge. Riesce a guadagnarsi da vivere studiando come restauratrice e disegnando bigiotteria. Nel 1943 il Kunstmuseum di Basilea acquista uno dei suoi dipinti, nel 1945 conosce Wolfgang La Roche, uomo d’affari di Basilea, che sposa nel 1949. La coppia vive a Berna, poi a Thun e sul Lago di Thun. Meret Oppenheim sta meglio, nel 1954 apre un atelier a Berna ed entra in contatto con la vivace scena artistica locale. Al tempo stesso, si allontana dai surrealisti, che le sembrano sempre più dogmatici. Nel corso della sua vita, l’artista insiste su una pluralità di stili e non vuole essere vincolata a nessuna definizione rigida. Dipinge, disegna, compone collage, crea sculture in ceramica, bronzo e tessuto. L’immagine e il linguaggio sono per lei forme di espressione di pari valore: scrive poesie e numerose lettere, e intende la scrittura come un modo per affinare e approfondire i pensieri, la casa che abita è il mondo delle idee e delle forme poetiche, sogno e realtà, nel suo orizzonte, non sono universi contrapposti.
Mentre molti suoi colleghi uomini godono da tempo di vasta notorietà, Meret Oppenheim si impone all’attenzione della scena artistica internazionale solo alla fine degli anni Sessanta, quando viene finalmente considerata un’artista indipendente, le cui creazioni vanno ben oltre la famosa tazza di pelliccia. Negli anni Settanta, partecipa al dibattito femminista che divampa anche in Svizzera, ma si oppone con fermezza all’idea di un’arte specificamente ‘femminile’ e insiste – sempre ricalcando le orme di C.G. Jung – sul fatto che lo spirito è androgino. Nel 1982 Meret Oppenheim espone alla documenta 7 di Kassel e nel 1983, a Berna, viene inaugurata la sua fontana, dividendo il pubblico. Seguono altre retrospettive in Svizzera e all’estero. Il 15 novembre 1985, l’artista muore a Basilea all’età di 72 anni. A 36, aveva sognato di aver raggiunto la metà della sua vita.
Negli ultimi anni, varie retrospettive di ampio respiro hanno messo in luce e indagato il lavoro artistico di Meret Oppenheim in tutta la sua profondità e ampiezza. Le letture unidimensionali o riduttive al ruolo che ha rivestito nel Surrealismo lasciano il posto ad analisi molteplici e sfaccettate della sua opera multiforme, contestualizzandola nello specifico delle tensioni che hanno attraversato il XX secolo e interrogandosi sulla sua attualità per gli artisti della giovane generazione di oggi.

Pascale Birchler (1982, Zug) vive e lavora a Zurigo. Tra le mostre recenti: Der Rest ist Schweigen (Il resto è silenzio), project space, Galleria Peter Kilchmann, Zurigo (2021); Eine Fremde Stunde (Una strana ora), Kunstverein Friedrichshafen, Germania (2019); Refaire le monde, Museum Helmhaus di Zurigo (2018). Ha vinto diversi premi, tra cui quelli del Cantone e della città di Zurigo, della Fondazione UBS e partecipato a residenze a New York (2010) e Berlino (2015). Prossimamente esporrà alla mostra collettiva The Pieces I Am, UCCA Edge Museum (Shanghai), e beneficerà della sponsorizzazione di uno studio di 12 mesi da parte di ISCP (International Studio and Curatorial Program), New York 2022/23.

Miriam Laura Leonardi vive e lavora a Zurigo. Ha studiato fotografia al Gobelins, l’École de l’Image di Parigi, e ha conseguito un Master all’Università delle Arti di Zurigo. Il suo lavoro è stato presentato in numerose mostre personali e collettive a livello internazionale ed è stato premiato con diversi riconoscimenti. È stata in residenza all’Istituto Svizzero a Roma nell’anno 2018-2019. Gestisce inoltre il progetto espositivo Photography Exhibit! e tiene lezioni nel BFA presso l’ECAL, Università delle Arti di Losanna.

Hunter Longe (1985, California) vive e lavora a Ginevra. Ha conseguito un BFA presso il California College of the Arts di San Francisco e un MFA presso il Piet Zwart Institute di Rotterdam. Lavora con diversi media, ispirandosi alle proprietà e alle trasformazioni dei materiali che utilizza. Profondamente colpito dalla scoperta che 2/3 delle specie minerali della Terra si sono evolute dopo che batteri e piante hanno iniziato a riempire l’atmosfera di ossigeno, l’artista vede la creatività come innata e permeante tutti i materiali. Appropriandosi di storie e apparati provenienti dalle scienze e confondendoli con l’esoterico e il folcloristico, le opere di Longe annullano le distinzioni tra il vivente e il non vivente e alludono a una senzienza di fondo che va ben oltre il regno umano. Ha esposto di recente in mostre collettive e personali presso Krone Couronne, Biel/Bienne; Alte Fabrik, Rapperswil; Binz39, Zurigo; Centre d’art Contemporain Genève; Musée Cantonal de Geologie, Losanna; NoMoon, New York; Et al. Gallery, San Francisco; LambdaLambdaLambda, Pristina; e Hordaland Kunstsenter, Bergen. Un libro di suoi scritti e disegni intitolato DreamOre è stato pubblicato l’anno scorso da Coda Press ed è stato vincitore dello Swiss Art Awards 2021.

Lou Masduraud (1990) vive e lavora a Ginevra, dove sviluppa un lavoro artistico, critico e femminista. Ha ottenuto un MA in Belle Arti alla HEAD di Ginevra e ha partecipato al programma di ricerca post-laurea dell’ENSBA Lione dal 2017 al 2019. La sua pratica artistica analizza i meccanismi di potere, desiderio e emancipazione. È stata in residenza all’Istituto Svizzero a Roma, portando avanti un progetto sulle fontane pubbliche come simbolo della vita politica.

Luzie Meyer (1990, Tubinga) è un’artista, scrittrice, performer e traduttrice che vive e lavora a Berlino. Ha conseguito il Meisterschüler:in alla Städelschule di Francoforte e una laurea in Filosofia alla Goethe-Universität di Francoforte. Il suo lavoro spazia tra audio, video, fotografia, performance e installazioni. Il suo approccio interdisciplinare è radicato nel suo lavoro testuale. Utilizzando la propria voce, Meyer produce composizioni situate e performative che esplorano le relazioni psicosociali in una poetica idiosincratica e stratificata. Tra le mostre personali precedenti e future figurano Kunsthalle Bremerhaven (settembre 2022); Lasciatemi morire, Fanta, Milano (2021) e Duplicitous consent, Sweetwater, Berlino (2019). Le sue opere sono state esposte, tra l’altro, a: Kölnischer Kunstverein di Colonia; KW Institute for Contemporary Art di Berlino; Halle für Kunst di Lüneburg; Fri Art Kunsthalle di Friburgo; Lenbachhaus di Monaco; Belvedere 21 di Vienna; Nassauischer Kunstverein Wiesbaden; Kunstverein Braunschweig.

Ser Serpas (1995, California). Vive e lavora a Ginevra. Interessata principalmente alla morte e all’eredità, il suo lavoro si preoccupa della propria urgenza di fronte alla fossilizzazione. Attualmente, ha sequestrato il mondano citando liberamente la storia dell’arte in tutta la sua profondità, prestando poca attenzione a quest’ultima. Attraverso la pittura, la scultura, il disegno e la poesia, l’artista mescola pezzi della sua vita, sia reale sia immaginaria, in anti-ritratti, alcuni dei quali ritiene opportuno condividere nel contesto di mostre e performance. I precari assemblaggi di oggetti disparati trovati per strada costituiscono la sua serie più nota fino a oggi. Più di recentemente ha iniziato a utilizzare le foto scattate con il suo iPhone durante l’università come materiale di partenza per le sue vedute intime su tela non tesa, pannello di legno e carta. Il modo unico in cui l’artista rifrange il corpo in tensione, sia nelle sue installazioni scultoree, sia in quelle basate su testi che distorcono componenti della nostra architettura condivisa, si riflette nelle sue porzioni atipicamente ritagliate di intimità archetipica rubata. Nel complesso, il lavoro evoca un senso di gravitas e giocosità, un tutt’uno con ciò che spera di comunicare a livello interpersonale. Serpas ha tenuto mostre personali alla LUMA Foundation di Zurigo e al Ludlow 38 di New York. Ha partecipato alla biennale Made in LA 2020 presso l’Hammer Museum e l’Huntington. Ha partecipato a mostre presso la Pinault Collection, la Bourse de Commerce di Parigi, Punta Della Dogana di Venezia e lo Swiss Institute di New York.

Istituto Svizzero
Via Ludovisi, 48 Roma
+39 06 420421, roma@istitutosvizzero.it, www.istitutosvizzero.it
Orari di apertura: mercoledì e venerdì 14:00-18:00; giovedì 14:00-20:00; sabato e domenica 11:00-18:00
Ingresso gratuito

Immagine di copertina: Lou Masduraud, “Petrifying basin (kisses from the nymphs)”, Swiss Art Awards 2022. Immagine © Moritz Schermbach