Marco Antelmi. Ciò che resta del fuoco
«Se un luogo medesimo si cinge di fuoco (e si riduce infine in cenere, è tomba come nome), quel luogo non è più. Resta (come resto) la cenere. […] Là, cenere vuol dire la differenza tra ciò che resta e ciò che è: ce la fa a dirla? » Jacques Derrida, Feu la cendre, 1984
Concepita come un viaggio di ritorno fisico e introspettivo nella propria Terra Madre, “Ciò che resta del fuoco”, personale di Marco Antelmi, è un occasione per creare un dialogo tra passato e presente, identità e cambiamento. La mostra è messa in scena simbolicamente nella cameretta dell’artista, quello spazio intimo nella casa dei suoi genitori in cui, nel corso degli anni, partenze e ritorni hanno generato una memoria soggettiva e deformata.
Siamo abituati a pensare alla casa come a uno spazio che ci separa e individualizza, come quella soglia in cui il soggetto diventa realtà e si differenzia dal mondo, assumendo un volto singolare e inconfondibile. Eppure la casa non è che un altro degli spazi che usiamo per intrecciare la nostra vita e il nostro mondo con quello degli altri. Così, misurandosi con la costruzione della sua identità, l’artista mette in scena un’autobiografia diffusa. Un magma di reale e virtuale infuoca le pareti della cameretta e divampa anche oltre, aprendosi alla collettività in una riflessione sui temi brucianti della nostra contemporaneità: la sovranità dei dati, l’ideologia del Cloud, l’ingerenza sempre più evoluta delle nuove tecnologie nella sfera intima e privata.
“Cosa lascia questo fuoco che divampa ad ogni ritorno?”, si chiede Antelmi. ≪Non vi è cenere senza fuoco≫, scriveva Jacques Derrida in “Feu la cendre”, volume del 1984 dal quale la mostra prende il titolo. Appena due anni prima la band Venom cantava ≪cenere alla cenere≫ in un brano di Black Metal, l’album che ha segnato la nascita del genere. Partendo da queste premesse, le opere esposte si configurano come la pirificazione di qualcosa che non resta né ritorna, di un futuro sempre più integrato ed embedded.
Tra gli oggetti che definiscono questo spazio privato e identitario compare, ad esempio, un certificato ottenuto dall’artista al termine di un corso sul cloud computing, rilasciato via e-mail da AWS – Amazon Web Services. Oppure, poco più in là, un autoritratto sui generis, cioè la trascrizione del suo Facebook Pixel personale, scritto a mano su una parete nella forma di codice HTML. Oggetti personali, ma che in fin dei conti ci fanno riflettere sui cortocircuiti identitari con cui siamo tutti alle prese.
Infine, prendendo come spunto un fatto di cronaca internazionale – cioè l’incendio del data center OVH di Strasburgo a marzo 2021 – Antelmi esplora il ruolo che l’ideologia del Cloud gioca nella costruzione della società. Ne nasce una narrazione fantastica, la storia dell’istituzione di un tecnoculto che unisce i simboli, i segni e gli schemi appartenenti al mondo del Cloud e a quello sovversivo delle streghe, descritto dalla filosofa Silvia Federici nel “Calibano e la Strega”. Come le streghe nel Medioevo venivano accusate di invocare le tempeste con il fuoco dei loro calderoni, così l’incendio del data center diventa l’espediente per l’evocazione di un Cloud più libero.
L’artista, allora, ci porta con sé nell’allestimento di un rituale privato, praticato mediante la creazione di simboli e luoghi codificati, e ci invita a ripensare le dinamiche che ci sono alla base della costruzione della nostra identità, tanto privata quanto pubblica: siamo tutti immersi in un Cloud, uno spazio in cui le nostre presenze online si affermano e si interfacciano con le nostre identità fisiche, uno spazio virtualizzato che ci richiede, al giorno d’oggi, di essere esplorato.
Marco Antelmi (Bari, 1993) si definisce ingegnere teorico. Vive e lavora a Milano. Possiede una Laurea Triennale in Ingegneria Civile e una Laurea Magistrale in Arti Visive e Studi Curatoriali. Nella sua pratica coesistono giornalismo e science-fiction per la creazione di narrazioni antagoniste. Attraverso la ricerca in campo transdisciplinare, Antelmi proietta la cultura mediterranea verso un orizzonte post-tecnologico. Dal 2018 collabora con la rete NO CPR, network di realtà e associazioni che lottano al fianco dei migranti contro l’istituzione dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio.
Nel 2021 prende parte a ‘Mediterranea 19 Young Artists Biennale’, organizzata da BJCEM – Biennale des Jeunes Créateurs de l’Europe et de la Méditerranée. Le sue opere sono state ospitate presso spazi quali Biennale di Venezia Architettura, Ars Electronica Festival Linz, Galleria MLZ Art Dep di Trieste, Pav Torino, Museo MAXXI Roma. É stato assistente del curatore Marco Scotini per la mostra “The Missing Planet” presso il Centro Pecci di Prato. Antelmi è anche resident contributor di Droste Effect Magazine, fondato dal PhD e curatore Vincenzo Estremo.
VOGA
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Immagine di copertina: Marco Antelmi, Black Cloud Council (dettaglio), 2021