1 marzo – 31 maggio 2022
Photology Online Gallery
In occasione del centesimo anniversario della nascita di Jack Kerouac (Massachusetts 1922 – Florida 1969) e del venticinquesimo della morte di Allen Ginsberg (New Jersey 1926 – New York 1997), Photology presenta Generation Beat-Photographic Art by Allen Ginsberg. La mostra, che sarà visitabile solo su Photology Online Gallery dal 1 marzo al 31 maggio 2022, è realizzata in collaborazione con Allen Ginsberg Estate, Stanford University Libraries, Samuel Dorsky Museum e State University of New York.
È la prima volta nella storia che una mostra retrospettiva sui lavori fotografici di Allen Ginsberg viene installata su una piattaforma 3D online. In particolare, l’esposizione unisce più di quaranta opere fotografiche realizzate da Allen Ginsberg nel corso della sua lunga epopea Beat. L’intento è quello di presentare un affresco immersivo in cui lo spettatore può ripercorrere i momenti salienti del più importante movimento rivoluzionario della storia culturale americana e che punteggia quasi mezzo secolo del novecento.
L’allestimento 3D presenta cicli di produzioni fotografiche differenti.
La prima sala espositiva apre all’innovazione con un’installazione di sette grandi opere uniche realizzate su tela Eco-Friendly (ottenuta da plastiche riciclate) e sormontate da una cornice in alluminio ready – to – stretch. Questi nuovi lavori saranno disponibili per la vendita con un innovativo sistema di montaggio, che consente di ricevere l’opera in qualsiasi parte del mondo dentro apposito packaging. La serie, concepita nel 2022 in collaborazione con gli archivi di Allen Ginsberg e laboratori di alta tecnologia in Italia, propone le opere fotografiche più importanti dell’artista in una versione extralarge (da 90 x 120 cm fino a 150 x 200 cm) con immagini da negativo originale restaurato ed iscrizioni manuali ricostruite per l’occasione.
Nella seconda sala invece si possono ammirare 20 Gelatin Silver Prints provenienti dall’Estate di Allen Ginsberg e tutte stampate dall’artista nei primi anni Novanta. Lavori originali in ottimo stato di conservazione nei classici formati 30 x 40 cm e 50 x 40 cm per un collezionismo dal palato fine. All’esposizione viene integrata anche un’importante rarità bibliografica: una delle poche copie rimaste del famoso cofanetto Beat Bible (due libri in un’unica confezione) realizzato da Photology in edizione limitata e qui disponibile fino ad esaurimento.
Chiude la mostra una selezione di opere commentate a mano da Allen Ginsberg e di proprietà della Biblioteca della Stanford University. Le opere tutte 30 x 40 cm furono donate all’inizio del secolo e mai esposte prima. La sala è arricchita da una film originale del 1965 realizzato da Peter Whitehead durante il famoso happening performativo “Wholly Communion” alla Royal Albert Hall di Londra.
Durante gli anni Cinquanta gli Stati Uniti d’America, e da lì a poco tutto il mondo, furono travolti da un’ondata di anticonformismo e ribellione che lasciò notevoli segni nella società perbenista del tempo: la Beat Generation. Questo movimento giovanile nacque a New York grazie agli scritti di personalità stravaganti e geniali come Jack Kerouac, William S. Burroughs, Allen Ginsberg, Lawrence Ferlinghetti, Gregory Corso, Peter Orlovsky e Neal Cassady influenzando notevolmente la cultura del tempo e scandalizzando l’opinione pubblica.
La Generazione Beat fa parte di quei movimenti di contestazione giovanile sorti dopo le due guerre mondiali e che vennero definiti in maniera dispregiativa “gioventù bruciata”. In esso si condensa tutta la confusione, la voglia di sfogare la propria individualità e l’anticonformismo che caratterizzarono la gioventù del tempo portando alla nascita dei movimenti hippy negli anni Sessanta e alle contestazioni giovanili del 1968. Gli autori Beat, infatti, riprendono i temi che erano allora fortemente sostenuti dal mondo giovanile come la critica alla guerra del Vietnam, all’imperialismo americano ed alle ipocrisie dilaganti nella società statunitense che portavano ancora a discriminare in base al colore della pelle o all’orientamento sessuale.
L’espressione Beat Generation venne coniata da Jack Kerouac (autore di “On the Road” una delle opere più importanti della controcultura beat) verso l’inizio degli anni Cinquanta discostandosi dal significato più comune dell’aggettivo “beat” (esausto, distrutto) ma dandogli una connotazione più “sacrale” facendo riferimento alla beatitudine segreta degli oppressi.
Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia, affamate nude isteriche,/ trascinarsi per strade di negri all’alba in cerca di droga rabbiosa,/ hipsters dal capo d’angelo ardenti per l’antico contatto celeste con la dinamo stellata nel macchinario della notte./ Allen Ginsberg “Howl”
La fotografia in versi di una febbrile voglia di essere vissuti, del senso di appartenenza e di non rinunciare al desiderio e al bisogno di rivolta di un’intera generazione, la Beat Generation. La Nuova Bohemia la chiamavano, che già dagli abiti emergeva come sovvertimento di una società opprimente, conservatrice, conformista e collettivista. Jeans azzurri, maglioni, giacconi di cuoio e quegli impermeabili consunti, emblema della generazione hipster, i cui protagonisti non sono accademici o scrittori professionisti aggrappati ad un impiego accontentandosi della routine familiare, ma giovani figli di un mal du siècle che crea sgomento, inquieta. In perpetua ricerca di una raison d’etre, credono nella vita ma respingono i sistemi morali e sociali precostituiti, vogliono scoprirne da sé dei nuovi sperando di trovarli più efficienti.
Allen Ginsberg, scheletro e cuore della beat generation, era solito girovagare per le strade di Manhattan con minuscole fotografie di sé e dei suoi amici che regalava a tutte le riviste e case editrici che incontrava raccontando le storie che lo avevano ispirato. Erano fotografie di questi Beat adorati dai giovani e temuti dagli anziani che non li capivano, Kerouac, Orlovsky, Cassady, Burroughs, Corso, Leary sono solo alcuni dei poeti e scrittori protagonisti di una generazione nata da una delusione sociale dalla quale si vorrebbe riscattare un’identità negata anche attraverso mezzi come droga, alcool e promiscuità sessuale.
Nel 1964 la sua vita privata era già molto delineata e Allen aveva fiducia nel concetto di libero amore, sognava l’omosessualità universale e un ideale di vita intenso e libero da qualsiasi pregiudizio o sovrastruttura che soffoca nel conformismo l’istinto creativo dell’uomo. Erano gli anni delle Comuni Hippy, la gente viveva insieme, divideva le spese e i compagni dividevano i lavori casalinghi, in questo milieu si innestavano i versi di Howl ritratto e manifesto in poesia della beat generation che diverrà una pietra miliare nella lotta per la libertà di stampa, dopo essere stato un caso giudiziario con l’accusa di essere totalmente negativo e inutilmente osceno.
Gli anni Sessanta e Settanta sono gli anni di fuoco della tormentata generazione di filosofi e mistici, lo stesso Ginsberg si avvicina al buddhismo e alla meditazione vedendola come soluzione che potesse aiutarlo a vedere con l’occhio della mente. Venne criticato per la sua sincerità, impertinenza e volontà di esporre le sue debolezze private in pubblico, ma lui sperava solo di raggiungere una poesia onesta e spontanea. Nel suo diario aveva scritto: «dovrei scrivere poesie sulle situazioni varie come i luoghi in cui sono stato» dall’invito a Cuba da parte del Ministro della Cultura, allo scoppio delle proteste indirizzate alla legalizzazione della marijuana e la denuncia sul coinvolgimento della CIA nel contrabbando di droga nell’Asia meridionale. Allen si sposta finalmente in Australia al Festival delle Arti di Adelaide, il festival più grande dell’Australia e dalla cima del più grande monolite del mondo, l’Ayers Rock, si raccoglie in meditazione e ispirato dal deserto scrive una poesia che rifletteva sulla natura transitoria dell’universo, ma soprattutto ripensa al suo amico Kerouac, modello, amico e musa, compagno di lotte non solo contro le scoperte nucleari ma contro le guerre, in particolare quella del Vietnam alla quale il governo rifiutava di porre una fine immediata e in tutti i modi cercava di sabotare le molte dimostrazioni organizzate dai ragazzi. La generazione rivelazione del dopoguerra, della vita misteriosa degli adolescenti sempre più lontani e sempre più sconosciuti ai genitori, selvaggia e ossessionata dai viaggi in autostop da nuovi valori morali, da una nuova comunanza col mondo e con la vita, dalla musica jazz e dalla scrittura in componimenti poetici e romanzi.
The Fall of America vede in Ginsberg il successore di Walt Whitman e questo lo porta a San Francisco a Londra e Rotterdam e poi di nuovo negli USA dove inizierà un vero e proprio ritiro buddhista, d’ispirazione per Mind Breath dove: «con ogni pensiero il respiro diventava più espansivo, una parte del vento si muoveva attraverso il pianeta», un respiro che Ginsberg affermando la propria personalità vuole condurre alla scoperta del motivo di tutte le cose. Una realtà che urla ancora oggi e di cui ancora oggi si sente l’eco. Gli scrittori Beat americani nascono da uno sgomento, da una perplessità, da uno spavento del nulla che si sforzano di combattere. Che siano i portavoce dei delinquenti, dei drogati non toglie loro una fondamentale ingenuità, un primordiale ottimismo, una vaga fiducia sufficiente a giustificare pratiche pseudo religiose tali da mostrare un residuo barlume di speranza.
L’identità che vanno cercando adagiata sul cuscino della fede, qualunque essa sia, è il mezzo per raggiungere la realizzazione della personalità individuale, frutto di un distacco violento dalla realtà terrena con l’obiettivo di sentirsi liberi e nudi come nelle foto di Ginsberg, nudi non per narcisismo ma per bisogno di spogliare la verità delle cose attraverso un linguaggio spontaneo. Versi spogli, puri, mai orpello, che trasudano un messaggio autentico e spontaneo, una provocazione contro una società inibita e soffocante nei confronti della verità dello spirito umano e della natura del corpo, verità che si imprime nel corpo e urla in queste fotografie.
Copertina: Allen Ginsberg City Lights Books, San Francisco, 1956 © Allen Ginsberg Estate, Courtesy Samuel Dorsky Museum of Art, New Paltz