L’ex Carcere di San Tomaso a Verona è oggi sede del Museo Archeologico Nazionale
Il Museo Archeologico Nazionale di Verona è allestito all’interno del complesso architettonico adibito, quasi due secoli fa, a carcere e tribunale durante l’occupazione austriaca di Verona.
Il sito è quello dell’antico convento dei Carmelitani Calzati (risalente al XIII-XIV secolo, poi demanializzato in epoca napoleonica) attiguo alla chiesa quattrocentesca dedicata a San Tomaso Becket, che fu riconvertito a luogo di detenzione tra il 1844 e il 1848, quando le vicende politiche successive ai moti carbonari del 1821 resero necessaria la reclusione di un gran numero di sovversivi.
Intorno al 1860 si diede seguito alla demolizione del complesso religioso per costruire ex novo il carcere asburgico di San Tomaso (“Garnisons Stockhaus”), articolato in tre corpi di fabbrica attorno ad un cortile interno; lungo il fianco meridionale della chiesa si conserva tutt’oggi un tratto superstite delle strutture conventuali. Ogni blocco dell’edificio è articolato su tre piani e un sottotetto collegati da scale in pietra veronese, dalle quali si dipartono i lunghi corridoi di distribuzione alle celle e agli uffici del tribunale, conclusi da volte.
Il linguaggio architettonico è di gusto neomedievale secondo il Rundbogenstil, lo stile dell’arco a tutto sesto, volutamente scelto per un appropriato inserimento nel contesto del romanico veronese.
Con il passaggio all’Amministrazione statale italiana l’immobile ebbe diversa destinazione. Inizialmente fu sede del comando della Divisione territoriale e successivamente di uffici finanziari. Furono quindi eseguiti lavori di adeguamento alle nuove funzioni che modificarono i prospetti sui cortili e l’assetto di alcuni locali: la loggia al secondo piano affacciata sul cortile interno e il balconcino sul prospetto esterno sud-est risalgono agli inizi del XX secolo; sulle volte di alcuni locali del piano terreno, le decorazioni a tempera a finti cassettoni e a racemi floreali che inquadrano cartigli con vedute di monumenti veronesi, recano la data 1929. Ciononostante, il complesso architettonico rappresenta una delle testimonianze di architettura civile austriaca meglio conservate della città.
- Nuovo Museo Archeologico Nazionale di Verona
- Nuovo Museo Archeologico Nazionale di Verona
L’ex Tribunale e Carcere Presidiario San Tomaso di Verona è stato per anni al centro di un progetto per la realizzazione di un museo destinato ad accogliere ed esporre reperti dalla preistoria fino all’alto medioevo provenienti dalle ricerche archeologiche effettuate nella città e nel territorio veronese.
La nuova destinazione d’uso ha richiesto la trasformazione dell’edificio da luogo pressoché chiuso, costruito con lo scopo di processare e detenere i sovversivi, in un luogo aperto, funzionalmente programmato per lo scambio culturale, senza perdere di vista le esigenze di conservazione delle caratteristiche peculiari dell’architettura asburgica.
I lavori sono stati avviati nel 1998 e hanno riguardato ampi settori dello stabile. Tra il 2014 e il 2021 si è proseguito con le opere di conservazione del complesso edilizio tra cui, principalmente, il restauro del prospetto su Stradone San Tomaso.
Là dove erano imprigionati i carbonari che lottavano contro l’Impero Asburgico – quindi – hanno trovato posto le testimonianze più antiche degli insediamenti umani nel territorio veronese, portate alla luce dopo un secolo e più di campagne archeologiche. Si tratta di reperti considerati i primi, eccezionali esempi delle espressioni della civiltà e della creatività umane, che si possono ora finalmente ammirare accompagnati da un chiaro corredo introduttivo. Ricostruzioni fisiche e virtuali, video e altri mezzi di comunicazione multimediale valorizzano questo straordinario patrimonio in bianche teche sovrastate dalle colossali capriate lignee del grande edificio. I muri perimetrali delle celle sostengono possenti arcate in mattoni, conferendo all’ambiente la sembianza di una chiesa romanica.
L’allestimento del nuovo Museo Archeologico, affidato all’architetto Chiara Matteazzi su progetto scientifico della dott.ssa Federica Gonzato, è iniziato dall’ampio sottotetto dove hanno trovato collocazione le sezioni dedicate alla Preistoria e alla Protostoria, a documentare un lasso di tempo che prende avvio circa 200.000 anni fa e si dipana sino al primo secolo a.C. Il piano intermedio accoglierà invece i reperti dell’età celtica e romana, oltre ad uffici, biblioteca e spazi per incontri, mentre il piano terra è destinato a documentare l’età altomedievale.
L’allestimento si sviluppa in modo lineare, attraverso le diverse sale dei due bracci del terzo piano (dal Paleolitico all’età del Bronzo) fino a confluire nel terzo braccio (dedicato all’età del Ferro).
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Lo Sciamano
Tra i molti tesori del nuovo Museo, vi è la pietra dipinta nota come “lo Sciamano”. Tra le opere d’arte in ocra rossa rinvenute a Grotta di Fumane e riferibili all’attività artistica dei primi Sapiens (40.000 BP, Paleolitico superiore), la più famosa è questa pietra calcarea sulla quale, in ocra rossa, è raffigurato un personaggio che indossa un copricapo. Questa pietra è, ad oggi, una delle più antiche figure teriomorfe (figure di uomo-animale) del pianeta.
I rinvenimenti di Peschiera del Garda
Risale all’Età del Bronzo antico, lo straordinario esemplare di vaso a bocche multiple recuperato durante lo scavo archeologico della Palafitta del Laghetto del Frassino presso Peschiera del Garda. Dal medesimo sito provengono anche ceramiche con decorazioni incise, conchiglie, metalli e utensili in osso, pietra e legno. Sempre dal Garda, rinvenuti ad una profondità di circa tre metri, provengono una tazza dell’Età del Bronzo antico e alcuni resti paleobotanici, tra i quali una spiga carbonizzata di farro.
Oggetti da ornamento
Notevoli e numerosi gli oggetti da ornamento esposti nel nuovo Museo e tra essi spicca il magnifico spillone scoperto presso la palafitta de La Quercia a Lazise, lungo più di mezzo metro, con larga testa a disco e gambo ritorto.
Preistoria e Protostoria
Seguendo un ordine cronologico, le prime sale si focalizzano sul Paleolitico, fase in cui il territorio Veronese è testimone della piena espansione delle popolazioni neandertaliane e dell’Homo sapiens in Europa. Il Museo racconta le prime forme d’arte e la vita di queste popolazioni di cacciatori e raccoglitori, accogliendo preziosi reperti di due siti di grande rilevanza a livello europeo: la Grotta di Fumane, con le sue pietre dipinte – prima fra tutte, lo Sciamano – e Riparo Tagliente.
Seguono le sale dedicate al Neolitico, fondamentale fase della preistoria in cui i gruppi umani passano da un’economia basata essenzialmente su caccia e pesca all’introduzione di agricoltura e allevamento e quindi alla possibilità di produrre il cibo per il proprio sostentamento. I reperti dal sito veronese di Lugo di Grezzana immergono i visitatori nella vita di un villaggio neolitico, mentre i rinvenimenti da altri siti veronesi li introducono ai rituali funebri e agli oggetti dedicati al culto.
Di seguito, la sala dedicata all’Età del Rame, momento della preistoria in cui l’Uomo scopre la possibilità di utilizzare un metallo – il rame, appunto – per realizzare armi e strumenti. La necropoli recentemente scoperta di Nogarole Rocca, statue-stele e preziosi corredi tombali dal territorio veronese accompagnano i visitatori nella prima “età dei metalli”.
La quarta sezione, la più articolata, riguarda l’Età del Bronzo. In questa fase cronologica le comunità umane, oltre ad introdurre l’uso del bronzo per la costruzione dei propri oggetti, diventano sempre più numerose, complesse ed interconnesse tra loro. Il Museo racconta la vita di questi abili artigiani e costruttori: l’enorme pozzo di Bovolone, valorizzato con un gioco di luci, campeggia al centro della sala dedicata ai villaggi; attorno, alcuni modellini raccontano le antiche tecniche edilizie, mentre reperti eccezionali parlano al visitatore della vita e del lavoro di tutti i giorni. Questa sezione accoglie una vetrina dedicata alla tre palafitte UNESCO della provincia di Verona, oltre ad una serie di reperti in legno dal sito di Vallese di Oppeano, eccezionalmente conservati. L’articolata vita dell’Età del Bronzo viene poi raccontata nelle sale seguenti, con una serie di reperti derivati dagli scambi con il mondo europeo e mediterraneo, e con gli eccezionali rinvenimenti dalle necropoli veronesi. Fra tutte, si ricorda quella di Olmo di Nogara, con le raffinate spade di bronzo deposte al fianco dei guerrieri. Infine, il Museo racconta quella che doveva essere l’antica ritualità, con un’ultima sala dedicata ai “doni agli dei” dell’Età del Bronzo.
L’età del Ferro
La nuova sezione, curata sotto il profilo scientifico da Giovanna Falezza, direttrice del Museo, e da Luciano Salzani, già funzionario della Soprintendenza veronese, in stretta collaborazione con la stessa Soprintendenza, è stata allestita sempre da Chiara Matteazzi, in continuità con il precedente allestimento museale.
Il criterio è ancora quello cronologico, con una serie di focus su oggetti e rinvenimenti di particolare interesse. Ad essere documentata è la storia del territorio veronese, luogo di incontri e contatti che qui si intrecciarono tra Veneti, Etruschi e Reti.
L’Età del Ferro si sviluppò nel corso del primo millennio a.C., volgendo al termine con le prime manifestazioni dell’arrivo dei Romani, all’incirca nel 2^ secolo a.C.
Già a partire dal 9° secolo a.C., nel Veronese, sia in pianura che in collina, sorgono numerosi abitati, anche di rilevanti dimensioni: ad esempio il centro veneto di loc. Coazze di Gazzo Veronese, che si estendeva su una superficie di oltre 60 ettari, con ampie aree di insediamenti abitativi accanto ad aree artigianali. Oltre, naturalmente, alle estese necropoli, dalle quali provengono oggetti particolari, venuti da lontano e con lavorazioni raffinatissime, a testimoniare la ricchezza dei contatti di cui il territorio è teatro in questo periodo. (Giovanna Falezza)
Sono soprattutto i ricchissimi materiali rinvenuti negli scavi delle necropoli a fornire i contenuti della nuova sezione. Sepolture di uomini e donne ma anche di cavalli: i cavalli veneti, citati da fonti latine e greche per la loro agile bellezza. Nel percorso museale, uno dei due “Cavalli delle Franchine”, necropoli in territorio di Oppeano. Un maschio, morto a 17-18 anni, 135 cm al garrese, sepolto in una piccola fossa coricato sul fianco destro, con le gambe ripiegate.
Sicuramente emoziona la tomba del “Principe bambino”, una delle 187 della necropoli celtica di Lazisetta a Santa Maria di Zevio, unica per la ricchezza del corredo funebre. E’ la sepoltura di un bambino di 5-7 anni, le cui ceneri vennero deposte assieme ad un sontuoso carro da parata (di cui restano gli elementi metallici quali mozzi delle ruote, timone, 1 cerchione di ruota, 2 morsi dei cavalli che lo trainavano) e ad un ampio corredo tipico solitamente dei guerrieri adulti (spada, lancia, giavellotto e scudo), oltre a vasellame ceramico e bronzeo, monete, attrezzi agricoli e strumenti per il banchetto (spiedi, coltelli, alari e un graffione di ferro). All’interno di alcuni vasi erano residui di ossa di maiale, resti del banchetto funebre.
L’attento studio del contesto ha permesso agli archeologi di ricostruire il rituale con cui questo giovane “principe” fu sepolto: dopo essere stato cremato insieme ad alcune offerte, le sue ceneri furono raccolte in un contenitore in materiale organico (stoffa o cuoio) e deposte nella fossa assieme al resto del corredo; al di sopra fu collocato il carro, capovolto e parzialmente smontato; infine, dopo un parziale interramento, fu acceso un secondo grande fuoco rituale. Alla fine la tomba fu probabilmente coperta da un tumulo che segnalava l’elevato stato sociale del defunto.
Non meno curiosa una tomba (7° sec. a.C.), rinvenuta in una delle 3 necropoli di Oppeano. Appartenne ad una bambina di pochi anni. All’interno dell’urna, al di sopra delle ossa combuste, oltre ad alcuni elementi di corredo sono stati deposti alcuni elementi molto particolari: delle conchiglie, di cui una forata, legate forse alla sfera del gioco; un astragalo, probabilmente un amuleto; infine un uovo di cigno, uccello acquatico ritenuto sacro. Proprio quest’ultimo assume un significato rituale molto importante, interpretabile come simbolo di rinascita e rigenerazione.
Con l’allestimento delle sale dell’Età del Ferro sono state anche inserire due esperienze immersive e alcune postazioni multimediali, destinate ad arricchire la narrazione dei reperti presentati nel percorso museale.
Terminato l’intero terzo piano del museo, ora verrà avviato il cantiere per la sezione romana, che i veronesi (e non solo) attendono da molti anni.