«C’è bisogno di purezza, e pulizia; mi piacciono le cose ordinate. Quello che realizzo è grande, vistoso; sembra materico ma ha una leggerezza di fondo, c’è armonia nelle linee. Mischiare stili, influenze, contaminazioni, a prescindere dai gioielli, necessita rigore. E sono importanti il pudore, l’intimità».
Irlampia nasce nel maggio 2011 ad Assisi. Il nome racconta di un panfilo avvistato tanti anni fa in un porto, il più bello; di femminilità (l’acqua), e libertà: «Una nave non ha una sede fissa, può vivere in qualsiasi luogo». E nomade è stata Laura Bartoli per molto tempo prima di ritornare nella città natale e dare vita alla sua linea di monili: dopo l’Istituto d’Arte in Umbria – con una «formazione prettamente artistica e manuale, progettuale e organizzativa», anche grazie alla realizzazione di scenografie – gli studi in Storia dell’Arte a Roma e a Parigi. «Non sono approdata all’oreficeria senza un bagaglio culturale e fisico e la capacità metodica, acquisita durante le superiori, di concretizzare quello che avevo in mente». L’incontro col gioiello, però, c’è stato in un secondo momento: «Dopo essermi laureata alla Sapienza sono andata a Parigi a fare ricerca e, rientrata a Assisi, ho conosciuto una grande maestra orafa tedesca a cui ho chiesto di potermi insegnare il mestiere. L’atto creativo dello scrivere è completamente differente rispetto al fare con le mani e a me mancavano alcune cose. In più, i gioielli sono uno dei pochi oggetti che puoi indossare e possedere e che sono delle sculture, oltre ad essere sempre rimasta affascinata dalle tecniche di realizzazione».
In seguito un nuovo corso e la decisione di mettere su bottega: «Non avrei potuto occuparmi di altro. Qui ho un contatto diretto con la materia, mentre l’arte in generale rimanda a qualcosa di diverso da sé, e non la puoi avere fino in fondo».
Irlampia si caratterizza per la capacità di alternare, senza perdere la propria identità, forme rigorose a collezioni dove la libertà lasciata al metallo genera effetti imprevisti; per i volumi vertiginosi, ma, soprattutto, per l’uso sofisticato dell’argento.
«Ho iniziato con l’argento perché è più difficile da maneggiare. Quando lo tagli, lo fondi, ha reazioni complesse, quindi se lo sai lavorare bene, l’oro, ad esempio, si manipola facilmente. Tutto ciò che realizzo sono pezzi unici perché fatti per costruzione: ogni lastra viene elaborata singolarmente ed è impossibile poterla trasformare in maniera industriale. È una scelta, in base alla materia, e io parto da lì».
L’innovazione del designer unita alla sapienza artigianale del fatto a mano.
«Nella linea Trucioli, essendo più scultorea, nessun esemplare sarà mai uguale; nelle altre la forma è geometrizzante quindi il disegno riproducibile con maggiore facilità. Però, dato che non è stampata, nella luce che le zigrinature danno agli orecchini o collane ci sono differenze. Io poi sottolineo che sembrano uguali ma se si osserva bene ci sono delle differenze. Anche gli intagli sono realizzati con il traforo a mano».
Ultimamente stai producendo una serie in pvc.
«Utilizzo tecniche moderne, taglio laser, disegno in autocad… usufruisco della tecnologia attuale. Sono due anni. Quella in pvc in particolare sembra in oro e argento perché è ricoperta da una lamina che ne eguaglia la brillantezza. L’altra in plexiglass invece è specchiata e mi piaceva l’effetto freddo, algido, contemporaneo».
Quali le evoluzioni, i cambiamenti, nelle collezioni dal 2011 a oggi?
«Ho tre linee di gioielli: Trucioli, che è più scultorea e viene creata dall’istinto, non c’è una progettualità vera e propria, è frutto di una espressione estemporanea. Nelle altre due c’è uno studio della forma, e il pezzo viene disegnato e realizzato in quel modo. La mano è la stessa, lo stile anche, si sente che fanno parte della medesima collezione ma sono differenti. Una evoluzione vera e propria c’è stata rispetto a quando ho iniziato, dove la linea era materica, più primitiva e meno riconoscibile. Entrava in un filone di gioiello contemporaneo etnico e tribale. Adesso ho un linguaggio identificabile, Irlampia è Irlampia. Non c’è nessun altro che utilizza la materia, la lastra, come faccio io. Neanche nei secoli passati».
I tuoi “pezzi forti” sono i bracciali e gli orecchini. Insolite, nonché esuberanti, invece, le tiare…
«I bracciali sono gli oggetti che riscontrano più successo. Tra l’altro, bracciali e orecchini sono anche gli accessori che io uso di più, quindi è possibile che trasmetta una passione diversa. Sono molto vistosi, tutti. Di quello che normalmente si vende meglio, gli anelli, ne realizzo pochi. Mi piacciono le corone perché danno potere, sono un simbolo di potere; avrei fatto volentieri anche gli scettri però ovviamente mi sono tenuta. Sono un bell’oggetto».
Ti senti più una creativa o un’artigiana?
«Tutti dicono “faccio un lavoro creativo per legittimare me stesso e perché così sono libero di esprimermi”. In realtà per me è l’opposto. Faccio questo lavoro perché mi permette di stare con i piedi per terra, riesco ad essere più materialista, riesco a concretizzare quello che è il mio pensiero, riesco a essere circoscritta nell’azione, perché altrimenti mi sentirei totalmente senza limiti».
Ti è mai capitato di personalizzare degli esemplari?
«Sì, certo, ho inserito pietre, che nelle collezioni non uso; però alcuni materiali non li adopero, come il rame, perché macchia, si rovina, si salda male, non è nobile, non mi piace. Sono una purista. Anche nel rame che acquisto per farmi la lega – perché mi faccio la lega da sola – non c’è il nichel. Personalizzo anche nel senso che un orecchino che nasce di 7 cm lo posso fare di 4. Oppure è capitato che per delle boutique abbia disegnato su richiesta elementi che non pesassero più di 12 grammi, quindi di un diverso spessore. Una cosa importante è che i miei gioielli sono realizzati con una lastra molto sottile, per cui pur essendo grandi sono leggerissimi».
Il tuo brand si posiziona nella fascia del lusso?
«Non sono oggetti commerciali, ma non per il prezzo. Poi non c’è una età precisa; chi compra Irlampia sono donne di tutte le generazioni. Hanno una propensione al gusto ben definita, questo sì; sono gioielli che piacciono molto o per niente. Una cosa particolare è che pur non avendo una linea maschile ho lavorato di più su commissione per artisti, cantanti, attori, altri designer. L’uomo è come se vi si riconoscesse… di qualsiasi età, cultura. Sono loro spesso che spingono le compagne a acquistarli».
Per quanto riguarda la promozione: partecipi a fiere, ti affidi ai negozi, come ti muovi?
«Bisogna fare una scelta precisa, non tutti hanno un bacino di utenti che possono trovare interessante un prodotto come il mio. La selezione avviene sulla loro clientela già fidelizzata. Poi non sono per una comunicazione sfrenata, anzi a volte credo che pubblicizzare troppo non vada bene. Fiere ho fatto l’ultima, il White, a febbraio 2016… Voglio prendermi un attimo per capire se continuare nell’ambito del fashion oppure cercare canali alternativi di vendita e distribuzione, tipo gallerie, bookshop dei musei, cose diverse. Ho partecipato ad esempio a un concorso del MoMA per il 2017».
Hai avuto per diversi anni un negozio a New York che “ti rappresentava” e lavorato con Luisaviaroma; sei esposta tra gli artisti di una galleria d’arte nella tua città, mentre sei da poco rientrata da Milano dove hai partecipato alla mostra Gioiello alla Moda a Palazzo Reale…
«Entrare all’interno di certi settori non è semplice. Adesso i gioielli si vendono nelle grandi boutique, che fanno ricerca, però diventarne parte necessita di un capitale di investimento notevole: bisogna mettere in piedi campagne vendita pazzesche, aver dietro un ufficio stampa potente… Quando si guarda alla moda si pensa a qualcosa di futile, invece è un ambiente lavorativo dove ci sono le persone più preparate in assoluto e che sgobbano come pochi altri. Anche il marketing dedicato al lusso… devi essere proprio bravo».
L’economia dell’Italia si basa in modo consistente sul Made in Italy, che è desiderato dal mondo intero. Moda, design, cibo – e molto altro – sono questo.
«Dietro al famoso Made in Italy ci sono tantissime piccole aziende artigianali, dai calzaturifici ai bigiottieri, alle concerie, pelletterie, sartorie… Mi dirai che la politica italiana non ha sostenuto le imprese e la produzione è stata spostata all’estero e i “piccoli” adoperati nella filiera man mano hanno chiuso. La Francia ha stanziato ingenti fondi affinché questa economia non morisse e le realtà di dimensioni anche inferiori riuscissero a essere ancora competitive. Da noi il costo del lavoro è altissimo, abbiamo una tassazione e un’iva che incidono pesantemente, una burocrazia sfiancante e dazi doganali per import/export non concorrenziali. Le grandi industrie si trovano a non poter dare più incarichi alle minori e un intero comparto va arrancando».
Però il trend è di puntare sull’eccellenza, che non si trova ovunque…
«Bottega Veneta ha aperto una scuola in cui trattano la pelle e imparano a conciarla in un determinato modo. Hermes in Francia ha fatto lo stesso, dove allevano i coccodrilli. In ogni caso sono poche realtà, rispetto alla forza lavoro».
La mia paura è anche l’opposta, cioè che in questa foga di comunicare la propria artigianalità come valore aggiunto, ci sia un livello discontinuo di qualità. Non solo, pochi sono in grado di percepire cosa è di pregio, ben fatto, e cosa non.
«L’artigiano è colui che in base a un disegno sa fabbricare un determinato oggetto. La differenza tra chi realizza i propri esemplari e un semplice designer è che il designer non ha minimamente il contatto con la materia, le tecniche di esecuzione. Magari inventa articoli meravigliosi, ma non fattibili. L’artigiano contemporaneo è dotato di estro, innovazione, originalità, però è in grado anche di saper fare l’arte, da etimologia. Una volta gli architetti erano capaci di costruire; uno scultore oggi non sa tenere in mano neanche una sgorbia. Io utilizzo le moderne tecnologie perché sono una donna del mio tempo; posso ideare un prototipo e produrlo. È una questione di come adoperare gli strumenti a disposizione. Questo è l’artigianato, non chi fa cose identiche a quelle di altre 200 milioni di persone».
Dose creativa assieme a capacità realizzativa…
«Capire cos’è originale, il momento di rottura. Però l’essere artigiano è avere padronanza del mestiere. Ripeto, se penso alle botteghe di 500 anni fa, all’interno vi erano orafi, scultori, architetti, pittori, sapevano fare tutto. Poi c’era quello che rimaneva lavorante per la vita e quello che diventava Michelangelo, ma venivano dallo stesso saper fare. Ed è importante che sia supportato da una base culturale. Spesso l’elemento innovativo non nasce dal talento creativo, ma dallo studio. Nessuno si improvvisa, si deve avere un minimo di cognizione. Ecco perché ho una formazione che prevede la conoscenza della storia dell’arte, della storia del design, dell’architettura. Se non si sa quello che c’è stato prima non ci si può inserire in tanti settori.
Io sono un’artigiana, oltre che una designer, non disegno e basta, lavoro con le mani e so quello che andrò a realizzare. E non potrei fare altro».
I gioielli Irlampia sono disponibili online presso Bluepoint Firenze e Ob-Fashion
Immagini:
1- Immagine di copertina: Bracciali Circles, AG 925 | 2- Collana Stella e Orecchini Lance, AG 925 | 3- Collana Stella, PVC laserato color argento | 4- Orecchini Lance, PVC color oro | 5- Tiara Era, AG 925 | 6- Collana e Orecchini Trucioli, AG 925 | 7- Bracciale Trucioli, AG 925 | 8- Orecchini Amuleti