Nella corsa che in meno di un secolo ha portato la scultura, l’arte, alla metamorfosi da elemento statico a opera-ambiente e, oggi, sempre più spesso, a dispositivo relazionale e partecipato, la componente teatrale, oltre che performativa, è entrata nella pratica di un numero crescente di autori. Già Michael Fried nel 1967, in “Art and Objecthood”, la sua critica al Minimalismo, diffonde il termine per stigmatizzare un approccio letterale, contingente, oggettuale appunto. L’installazione – di cui Nei Albertì in Tensioni | Divergenze al centro fa uso – è il luogo di incontro tra esecutore e osservatore; il punto di frizione tra la comunicazione dell’uno e la lettura soggettiva dell’altro; è per sua natura teatrale, immersiva o esperienziale, come spiega Claire Bishop nell’introduzione di “Installation Art: A Critical History” (2005). È interazione, in ultimo; una modalità basata sul processo che mette al centro lo spettatore e che parte dallo spazio reale.
La mostra presso Villa Pignatelli è un percorso che si snoda in sette sale. La prima è neutra e isolata, preludio a un confronto con il proprio io profondo: in un lungo corridoio dato dal susseguirsi di più stanze, le opere – cubi in plexiglass, spandex e filo; presenze totemiche che ricorrono in differenti dimensioni, varianti e combinazioni – scandiscono il tempo in un crescendo di illusione e tensione. Sul palcoscenico buio rischiarato dai led dei box, dove si fa esperienza non solo attraverso la vista, l’atmosfera straniante e attutita permette un viaggio alla verifica di sé. Questa immersione culmina nel penultimo ambiente, anch’esso oscuro e occupato da una struttura bianca. Poi il grande salone, l’installazione conclusiva: aria, di nuovo. L’autore parla di rinascita, e di cerchio che si chiude. E anche il titolo, sebbene insista sulle componenti formali, si riferisce ugualmente alle spinte o pulsioni che, in conflitto, ci governano.
Il discorso sull’inconscio è centrale nella ricerca di Nei Albertì, e non riguarda esclusivamente gli effetti sullo spett-attore. Il suo stesso incedere, in fase di allestimento, è visto come una lotta, una performance site specific in cui sfidare lo spazio riportando ordine al personale caos. Arte come scoperta di sé? La frase, riadattata da Pollock, restituisce alla mente altre parole, quelle di Harold Rosenberg, il critico che coniò il termine di Action Painting: «il pittore non si accostava al cavalletto con in testa un’immagine ma con in mano della materia per trasformare […] quell’altro pezzo di materia che gli stava di fronte» (“I pittori d’azione americani”, 1959). E così fa Nei: ogni opera nasce sul momento, da torsione si sviluppa ulteriore torsione; alla magia della creazione contribuiscono la conformazione del luogo e uno studio analitico di pesi e contrappesi, ma principalmente la privata esplorazione come essere umano (dal catalogo “Nei Albertì”, 2017).
L’efficacia illusoria di Tensioni | Divergenze al centro è data dalla scansione serrata e a ritmi difformi di opere tutte coerenti tra loro: dapprima i box poi le installazioni in lycra semitrasparente. A fare da cesura un ambiente sonoro dove, decentrato e illuminato da un neon intermittente, si trova un parallelepipedo rivestito da specchi. Nonostante aspetto e materiali introducano delle novità nella produzione dell’artista, il principio nel farne esperienza è il medesimo che negli altri lavori: esso si sottrae; pretende un avvicinamento e, nel momento di maggiore prossimità, si occulta per non farsi possedere. Cangianti, ingannevoli, ipnotici, i cubi in plexiglass sono popolati da intrecci di fili. Trasparenti e lampanti, si impongono per la loro opacità: la presenza monolitica/totemica, il pulsare della luce (che sembra dotarli di vita propria), l’effetto disegno sono stratagemmi in grado di porre una distanza tra soggetto e oggetto. E distanza si genera con le installazioni: non solo perché non possono, di fatto, essere attraversate, ma anche perché lo spazio rappresentato non è più quello tridimensionale ma quello bidimensionale del colore. Le opere di Nei Albertì si inscrivono in un filone di ricerca indirizzato a piegare la scultura verso un’organizzazione pittorica; pittura come mezzo per alterarne apparenza peso dimensione.
La mostra è infine una deflagrazione di volumi, forme che si sovrappongono e cambiano repentinamente. È discontinuità e coerenza; zone neutre e vuoti eloquenti; interno e margine; microcosmo e macrocosmo; ritmo interiore e contingenza. Spinte centrifughe e centripete. Tensioni e divergenze al centro.
Villino Pignatelli, via Boncompagni 12, Roma
Apertura mostra: 22 giugno – 22 luglio 2018 con ingresso gratuito