Questo non è un Art magazine. NIGHT ITALIA è il Glamour divergente delle culture Underground contemporanee, la sintesi delle avanguardie storiche contaminate dai nuovi Media e dagli stili di vita alternativi.

In dieci anni dalla sua prima uscita la rivista diretta da Marco Fioramanti ha tracciato una mappa della creatività alternativa, fuori dal mainstream. NIGHT ITALIA nasce nel 2007 come progetto non profit realizzato da artisti e finalizzato alla discussione dei «temi fondamentali del contemporaneo». Così apre l’editoriale del numero uno, sottotitolato “Generazione prêt-à-penser”: avversione verso ogni tipo di conformismo intellettuale per dar voce alle «dimensioni culturali quasi sempre nascoste». Undici pubblicazioni dopo si possono tirare le somme di un percorso coerente che ha prediletto giovani autori e visioni insolite, «il borderline, la deriva, il “perturbante” (Unheimliche), il profano, l’ebbrezza che mette in discussione il senso stesso della realtà, ne tira fuori le menzogne, cancella le certezze, apre a territori nuovi e inaspettati» (da “Homo Acheropitus”).
Night Italia è il contraltare europeo di un progetto più ampio partito negli Stati Uniti alla fine degli anni ’70. Puoi raccontarne la genesi?
«Anton Perich, artista croato che ha lavorato nella Factory di Andy Warhol, nel ’78 ha deciso di dar vita a due operazioni: una è la painting machine, una sorta di stampante a getto d’inchiostro ante litteram; un’altra è NIGHT Art Mag, rivista stile Interview Magazine, legata al mondo pop dell’epoca. Era il fotografo dello Studio 54 e di Max Kansas City e lì gli attori e le star si facevano ritrarre da lui. L’ho conosciuto a New York nel natale dell’88 attraverso un poeta tamil Indran Amirthanaygam, e quando Anton ha visto l’installazione della Volkswagen contro il muro di Berlino l’ha voluta pubblicare. Da quel momento su ogni numero di NIGHT c’è stato un mio intervento. Siamo andati avanti così finché nel 2007, dopo alcuni seminari per l’Accademia di Belle Arti di Roma, decido di portare un gruppo di studenti in Croazia da Perich in una vacanza/laboratorio e in questa “comune” nasce l’idea di creare una versione europea, bilingue dell’originale newyorchese. Perich mi ha dato l’egida della testata e anche la possibilità di utilizzare gli articoli di NIGHT.»
Nonostante su ogni copertina appaiano i nomi di entrambi, hai massima libertà nelle scelte editoriali.
«Lui ha fatto un passo indietro, lasciandomi la direzione editoriale. Siamo quasi fratelli, ci conosciamo da tanti anni, c’è grande fiducia…»
Il primo numero è stato presentato a New York inaugurando quella che rimarrà nel tempo la prerogativa di ogni lancio: creare una serata evento con performance, mostre, ecc… coinvolgendo gli artisti pubblicati all’interno. Una modalità di divulgazione efficace, un’incursione dinamica, anarchica, imprevedibile che si ripete ogni volta.
«La rivista andava battezzata lì, nel Lower East Side, e abbiamo optato per il locale di uno stilista fashion old style che oltre a mostrare i vestiti ha recitato poesie. C’era musica e hanno fatto un intervento le Bambi Killers, un trio performativo femminile, tra il punk e il trash; una di loro si è poi prestata per una mia performance, indossando scarpe con tacco a spillo la cui suola presentava una incisione. A ritmo di musica lei ballava e io le inchiostravo al suola permettendole così di stampare con le scarpe l’incisione su fogli di carta che poi regalavo al pubblico.»
È in America che hai consolidato molti dei rapporti con i personaggi che tutt’oggi collaborano a Night.
«Le amicizie si sono allargate a macchia d’olio. Il socio di Anton, Robert Henry Rubin si occupa di Cinema e Letteratura, e mi manda tuttora vecchie interviste in esclusiva. Per il numero 11 me ne ha data una a Helmut Berger. Il contatto fondamentale però si è sviluppato con Victor Bockris che mi considera il suo referente italiano. Chi è Bokris? Un inglese naturalizzato americano, biografo di tutta l’avanguardia degli anni ’70 newyorchese.»
Bockris subentra alla quinta pubblicazione…
«Sì, perché è una persona difficile e molto attenta. Nel 2010 ero a New York per una mia performance – nella quale trasformavo una top model, Kristina Korsholm, in sirena – con la troupe del regista Mauro John Capece, che voleva realizzare una clip sulla storia di Perich. L’ho messo in contatto con Perich e alcuni protagonisti dell’epoca. Siamo stati a casa di Bockris nel Greenwich Village, dove ho conosciuto anche Marcia Resnick, grande fotografa, e da lì è nato un sodalizio duraturo.»
La “squadra” iniziale è ancora quella che oggi ti accompagna?
«Molte firme scrivono per Night da sempre: Marcello D’Angelo ad esempio, lo sceneggiatore di Andrea Pazienza. Neke Carson è un altro tipo interessante dell’avanguardia americana, suo fratello è stato co-sceneggiatore con Wenders in Paris Texas. Le firme si alternano. A volte stanno all’estero e non rispondono, altre volte mandano più contributi insieme, da utilizzare nei numeri successivi. Io mi occupo del processo operativo, dalla scelta degli artisti alla parte redazionale. La cosa interessante è che tutto parte dalla foto di copertina: da lì nasce il titolo e una volta composta decido che tipo di ragnatela da tessere legata al soggetto scelto.»
Nel corso degli anni si sono unite altre figure di grande spessore, penso a Nicolini, ma la lista è lunga.
«Renato era un caro amico fin dal 1980. Fu lui, come assessore, a scrivere una lettera di presentazione alle istituzioni berlinesi nel mio primo viaggio. E a lui ho chiesto di elaborare tre editoriali per Night Italia. Essendo una rivista d’avanguardia sono autori underground quelli che cerco, indipendentemente dalla notorietà. Il rigore stilistico per me è fondamentale. Ogni numero l’ho sempre fatto da solo, ma da alcuni anni è subentrato Ugo Scoppetta, mente geniale ed esperto in comunicazione e le decisioni le prendiamo insieme. È stato in passato la voce solista del gruppo punk rock salernitano Spleen Fix. Fondamentale è stata poi la conoscenza e l’amicizia a New York con il reporter Tony Vaccaro (classe 1922). A vent’anni si è trovato ad essere soldato/fotografo nello Sbarco in Normandia, fino a Berlino, a liberare l’Europa dai Tedeschi. Nel dopoguerra è rimasto in Italia durante la ricostruzione come inviato dall’America per “Stelle e strisce”, “Look” e “Life”. Ci sono poi nella rivista personaggi famosi che qui nessuno conosce. Una per tutti, Bebe Buell, madre dell’attrice Liv Tyler, già miss Playboy’74 e che tutt’ora suona in una band. Pubblico molte realtà artistiche newyorchesi del passato accanto a quelle nostrane.»
I primi tre numeri sono un esperimento, in un certo senso. Dal quarto all’ottavo, che hai gestito in solitaria, testo e immagine hanno pari peso. Ultimamente la fotografia è predominante. È, soprattutto, una rivista interdisciplinare, dove coinvolgi di volta in volta sociologi, attori, scrittori, compositori, artisti visivi, ecc…
«Nel momento in cui sono andato a Berlino, a inizio anni ’80, vivevo con una coreografa e danzatrice, Christiane Kluth (insegnava aerobica con Sydne Rome) ed è venuto spontaneo creare un gruppo multimediale. Avevo già conosciuto a Roma un musicista inglese, David Thompson, e con un’attrice americana Julie O’Grady abbiamo creato una compagnia interdisciplinare, l’espressione di una comunità che interagisce sotto molteplici forme: letteraria, pittorica, sonora… Credo sia questa l’impostazione necessaria di una rivista d’arte oggi, e non la vendita di spazi per centimetro quadrato per farsi inserire articoli. Cerco di pubblicare almeno due numeri l’anno, mi sono attestato su uno standard del genere. I primi quattro sono usciti in quindici mesi, poi ho ridotto sia la tiratura che i tempi di stampa.»
Assieme a giovani autori, di cui hai pubblicato stralci di romanzi o racconti scritti appositamente per Night, hai ospitato saggi sui nuovi media, giornalismo d’inchiesta, cronache della nightlife o critiche e recensioni. Tutto senza una scaletta precisa, nel senso che ogni uscita è una sorpresa rispetto alla precedente. Mi ha incuriosito, poi, la ricerca di vecchi testi, come la lunga narrazione di Moravia su Caffi.
«Quello viene dall’esperienza politica degli anni ’70. La mia compagna di allora aveva scoperto un libello interessantissimo su Andrea Caffi (“Un socialista irregolare, intellettuale e politico d’avanguardia”, edizioni Lerici) un rivoluzionario russo-italiano. Moravia l’ha conosciuto da giovane. Quando poi ho iniziato a lavorare nel campo dell’editoria l’anziano editore della Jouvence se ne è ugualmente appassionato e siamo andati a cercare Gino Bianco, l’autore, così abbiamo ristampato il libro aggiungendo suoi scritti politici. Alla presentazione Goffredo Fofi mi disse che Caffi era sepolto a Parigi al Père-Lachaise. E subito dopo son partito per fotografare la tomba, su cui accanto al nome, francesizzato Andréa, è scritto “homme de lettres”. Di politica abbiamo trattato poco, ad esempio quando è caduta la giunta Alemanno e l’assessore Croppi ha pubblicato “Romanzo comunale”, uno spietato attacco alle manipolazioni della politica. Ultimamente ho chiesto a Flavia Ganzenua di scrivere un racconto espressamente per Night Italia. Lei è, secondo me, uno dei talenti letterari delle nuove generazioni.»
Qual è il numero che ti ha dato più soddisfazione?
«Quello che deve ancora venire, naturalmente. E la scelta del titolo e della composizione degli artisti è ogni volta più accorta. Il primo numero è stato un omaggio agli amici più stretti. “Evanescence”, il 7, tutto bianco, ha forse l’immagine più accattivante dal punto di vista estetico, col volto di un adolescente in copertina con gli occhi chiusi e quando la apri, sul retro trovi lo stesso ragazzo con gli occhi aperti, azzurri, che ti osserva con uno sguardo magnetico.»
Sebbene abbia un taglio internazionale, la rivista ha seguito da vicino la situazione dell’undeground romano. Me ne parli?
«Sono piccole realtà personali, come potrebbe essere, nel numero 11, Massimo Scognamiglio con la mostra sul punk. C’è sempre anche una chicca che scopro in rete, l’ultima, ad esempio, è una giovanissima studentessa di Brera, Edvige Crocifissa, con un’opera grafica molto interessante. Nell’ambito accademico, fino al 2006 la tradizione si è mantenuta costante, con le discipline tradizionali: pittura, scultura, incisione ecc. Dal 2007 c’è stato le scatto della body art estrema, cominciano le sospensioni dei corpi, l’uso dei ganci, e – non a caso – proprio in quel periodo nasce Night Italia. Nella copertina del primo numero avevo scelto uno scatto del fotografo Jono Rothman (un primo piano del volto di una modella orientale le cui guance erano forate con un abile montaggio da parte a parte da uno spillone). Evidentemente si era reso conto che l’operazione di forarsi il corpo era attuale. Si passa quindi in poco tempo dall’accademia borghese ai piercing estremi. Kirahm, performer romana insieme a Julius Kaiser, come drag king, o i Bloody CirKus (Nicola Cinalli, Ezio Gaudio), sono stati un punto di riferimento e polo importante di cambiamento lavorando sul concetto di offerta sacrificale, sulla modificazione del corpo, sulla mutazione di genere e così sono nati ulteriori sodalizi. Poi si esce naturalmente fuori dall’area romana.»
Night non è solo una pubblicazione, ma un campo magnetico. Si è creata attorno una vera e propria comunità.
«In questi giorni sto trasformando un grande appartamento che diventerà un atelier/laboratorio/open space. L’ingresso avvolgerà il visitatore in una grotta di libri, prima di entrare nelle sale espositive. Ci saranno delle ore stabilite a settimana in cui il pubblico potrà vistare lo spazio. Nulla a che vedere con la galleria tradizionale.»
Hai presentato da poco il n. 11, AnarChoc, a Tralevolte. Dentro si parla del primo incontro (1977) tra Andy Warhol e Muhammad Ali, narrato da Victor Bockris con immagini inedite, cui si aggiungono quelle di Marcia Resnick e Perich; vi è un’intervista a Helmut Berger fatta a New York nel ’95 da Robert Henry Rubin; Leonard Cohen ritratto da Tony Vaccaro e la breve storia intitolata Srù di Marcello D’Angelo. Poi vi sono le nuove presenze: Michael Pergolani con un contributo sul punk, Francis Kuipers, Valerio Magrelli e Flavia Ganzenua col racconto Scirocco. Tra i fotografi: Massimo Scognamiglio, Mia Murgese Mastroianni, Manuel Colombo e Paolo Torella. Due omaggi ad amici e collaboratori: Renato Nicolini e Valentino Zeichen. E ancora musica, performance, cinema, teatro, danza, poesia e arti visive…
«È legato al numero 9 AnarChic e vuole essere più esplosivo nei contenuti rispetto all’altro. In copertina tre fori di proiettili passanti (ogni foro realizzato a mano). Il titolo anticipa infatti lo shock di quello che sta per arrivare. A noi sembra che le cose vadano male ma andranno molto peggio. Non sono un catastrofista per natura, sono un ottimista cinico, bisogna però prepararsi, pararsi le spalle. Verranno tempi tosti…»
Qualche anticipazione: come sarà il dodicesimo Night Italia?
«Ci sarà un’immagine particolare di Donald Trump in copertina, e gioca sui memi. La memetica è una scienza che indaga i modelli evolutivi sul trasferimento di informazioni, di conoscenza e di preferenze culturali, il subliminale, i tratti pertinenti della pubblicità. Conterrà l’operazione artistica di Tito Schipa Jr, grande personaggio. Oltre a essere figlio di Tito Schipa, il più grande tenore di grazia della storia dell’opera, è un cantautore, compositore, regista, produttore, primo autore di un’opera rock (“Orfeo 9”). E altre sorprese, ancora top secret.»
Abbiamo aperto dicendo che la rivista ha appena compiuto dieci anni. Un bilancio?
«Io cerco di lavorare a macchia d’olio, circondandomi di artisti che sono in sintonia col mio pensiero anarchico e understatement. Non nasce con scopo di lucro, ma con l’idea di diffondere una mentalità artistica interdisciplinare e coesiva. E di far capire anche quanti autori famosi siano dei bluff e quanti altri invece, meno noti, di grande spessore, pur relegati in una nicchia. Accosto di proposito grossi nomi, con una risonanza internazionale, a mie scoperte fatte per caso, a giovanissimi, sapendo di avere l’esperienza e la sensibilità di scegliere giovani di talento. Roma è salottiera, più della metà è fuffa, sono da buttar via. Nell’arte per fortuna il valore lo dà l’opera e non i volumi che vengono scritti sull’artista. Come diceva Giacomo Balla: “i critici sono come la polvere sul quadro, basta un soffio e rimane il quadro”.»
Marco Fioramanti (Roma, 1954) è artista e performer. La sua ricerca è caratterizzata dall’uso di differenti materiali e mira al recupero di segni, gesti, comportamenti e riti d’iniziazione delle culture extra-europee. Dopo la laurea (1979) in Ingegneria civile all’Università La Sapienza di Roma è co-redattore del Manifesto Trattista (o del primitivismo astratto) con Claudio Bianchi e nel gennaio 1982 dà vita al Movimento omonimo e si trasferisce a Berlino Ovest dove apre L’atelier/galleria “Trattistambiente” e nel 1986 crea il “Laboratorio Olduvai”. Poi si sposta a Barcellona, a Parigi – dove partecipa alla formazione del gruppo Cyber-Dada – e in Portogallo. Dal 2001 si stabilisce definitivamente a Roma pur continuando a viaggiare e collaborare con autori internazionali. Nel 2007 è artista curatore del padiglione italiano della XXIV Biennale internazionale di Alessandria d’Egitto. Nel 2017 partecipa con “Il Relitto di Eroideide” alla rassegna internazionale di sculture e installazioni OPEN20, a cura di Paolo De Grandis.
EDITORIA
Maria Emanuela Bianchi
Agosto 9, 2018 @ 10:18 am
La solidità dello sguardo artistico di Marco Fioramanti è penetrante e ampio. L’articolo, che ci fa partecipi nel dialogo, mette in luce la scelta editoriale, il taglio e la sensibilità culturale di NIGHT ITALIA, rivista che lascia molta libertà al lettore di ricevere.