Fino al 30 ottobre 2022
Montoro12 Gallery, Brussels
A cura di Marina Dacci
La mostra Break consta di una trentina di opere e ha preso corpo grazie a uno stretto contatto tra Serena Fineschi e Loredana Longo con l’intento di aprire un dialogo tra le loro ricerche artistiche. Il percorso è perciò ricco di rimandi e assonanze pur nella differenza delle loro cifre stilistiche. Pittura, disegno, fotografia, scultura, video, performance si intrecciano, talvolta anche nello stesso lavoro, per entrambe le artiste.
Apparentemente legate a gesti e immagini dure, di rottura le opere di Serena Fineschi e di Loredana Longo sono in realtà punti di sospensione: una pausa, un tempo di deposito e di rielaborazione personale per trasformare conflitto e dolore in una possibile rigenerazione. Sono piccole battaglie individuali che ci accompagnano ogni giorno nelle relazioni sociali e in quelle intime connesse alla nostra identità: dall’infanzia all’età adulta, dal rapporto col corpo a quello con i sentimenti che condizionano il nostro abitare il mondo. Sono percorsi di analisi, distruzione di stereotipi da cui affiorano visioni che portano nuova linfa nelle relazioni. Si parte dal sé per arrivare agli altri. Si parte dal corpo come linguaggio per arrivare alla parola e viceversa perché l’uno innesca l’altro.
Nelle opere di Fineschi le tensioni si trasformano in spinte propulsive verso il futuro a volte di sapore sentimentale a volte lucidamente ironiche, in quelle di Loredana Longo l’esplosione/implosione delle relazioni e dei materiali diviene gesto liberatorio che da vita a nuovi inizi. Entrambe le ricerche ci portano dentro al “lato oscuro” elaborato, purificato e rimesso in gioco nella costruzione dell’opera. Dolore, vergogna, rabbia e paura sono amplificatori di sensazioni; il dolore aiuta a fermarsi, a prendere coscienza. Fermarsi per ascoltare, per ascoltarsi, per ridefinire le regole del gioco. Partogenesi coraggiose.
La tensione che si avverte in tutto il percorso di mostra si esprime attraverso la relazione della mano e del corpo con i materiali, siano essi docili o indocili, generando scontri o arrese, lento decadimento o rottura o, talvolta, fughe (Spiriti; Ingannare l’attesa; Primavera dell’impazienza e Forme di impazienza; Creative execution; Crashing the box).
La pelle diviene letteralmente memoria dell’azione. Accompagna, il gesto che imprime, distrugge, decostruisce e riassembla i materiali verso la loro apparizione come opere finali (Armour; All my skin; A few pound of meat).
Il vissuto intimo è la risultanza del rapporto con “l’altro da Sè”. Il corpo è vissuto e percepito come viaggio psichico e sentimentale che si riattiva simbolicamente e prende vita con e nella materia o con e nel linguaggio (Noi e loro; L’altro lato della vergogna; Cattive Compagnie; Sonata muta. Le parole che non ho detto; Malelingue; Forever yours; Double fist; I would like to be like a blade; Tirapugni; Guanto maleducato).
Le immagini generate sono vivide, forti e fragili allo stesso tempo e evocano “un dopo” risolutore come in There is no change without risk e in Degno di ogni dispetto. La Battaglia di San Romano in cui speranza e riappacificazione nascono da un gesto aggressivo.
Le opere esposte hanno al loro interno una agentività, una presa speciale su chi guarda. Le opere sono osservate e, a loro volta, osservano, si porgono e interrogano. Agiscono, slittando verso lo spettatore, testimoniando percorsi individuali che diventano così patrimonio condiviso di sentimenti e riflessioni anche sociali.
Fuori da ogni confort zone il vero cambiamento personale passa dunque attraverso tappe complesse che comportano la gestione dell’aggressività e della sofferenza per condurre a una evoluzione consapevole della dimensione umana.
Le opere di Fineschi e Longo tendono a mettere a fuoco il potere di cambiamento attraverso una profonda analisi del sè in cui la forza del dissenso e del conflitto si trasformano in strumenti liberatori consapevoli che riconsiderano memorie ed esperienze da differenti prospettive. Spesso l’aggressività con gli spettri emotivi che porta sulle spalle consente un confronto con l’altro senza sopraffazioni. Etimologicamente il termine aggressività significa progredire, “andare verso” e non contro come accade per la violenza. La forza e il conflitto non sono violenza. Il conflitto è parte della vita e della relazione con gli altri. Nel conflitto c’è simmetria tra le parti, un ritorno potenziale verso se stessi che implica una capacità di analisi sulle fragilità e le paure. La violenza, diversamente, è un processo che tende a risolvere e ad annullare il conflitto eliminando l’altro, “il nemico”.
Marina Dacci
Montoro12 Gallery
Avenue Van Volxem, 316 1190 Brussels
+39 392 9578974, info@montoro12.it, www.m12gallery.com